22 Novembre 2024

La riunione del ministro Giancarlo Giorgetti con la sua squadra al ministero dell’Economia è fissata per oggi. Ma, dopo mesi di lavoro soprattutto del viceministro Maurizio Leo, il progetto di legge delega sulla riforma fiscale sembra giunto a uno stadio avanzato. Se non dovesse andare in Consiglio dei ministri della settimana prossima — scenario sempre possibile — sarebbe solo perché la riunione si svolgerà a Crotone dopo il naufragio dei migranti e nel frattempo il testo non è ancora arrivato formalmente a Palazzo Chigi.
È però già chiaro a tutti che si tratta di un progetto di revisione in profondità dell’infrastruttura del Fisco in Italia. Non riguarderà solo la riduzione da quattro a tre degli scaglioni di aliquote sui redditi delle persone fisiche (Irpef), che anzi potrà svilupparsi solo con gli anni. Né si limiterà a cercare le coperture provando a sfrondare la giungla delle attuali 626 voci di agevolazioni fiscali (per un costo di 83 miliardi, secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio) che negli ultimi anni non hanno fatto che aumentare. Quello dovrebbe venire gradualmente, nel corso della legislatura, lasciando fuori delle «spese fiscali» tagliabili solo quelle sociali: spese sanitarie, istruzione, interessi a carico e altri oneri familiari.

I bonus fiscali
Non è ancora chiaro quanti possano essere i risparmi da questo caotico universo di eccezioni fiscali, in modo da poter ridurre in proporzione il peso dell’Irpef. Mauro Marè, economista che ha studiato a lungo il problema e al cui lavoro il governo presta attenzione, stima margini di non oltre cinque miliardi. Ma questo si vedrà con il tempo, appunto, perché la riforma fiscale dovrebbe partire da un terreno diverso: la tassazione delle imprese e, in parallelo, una trasformazione dei sistemi di accertamento fiscale in modo da ridurre un’evasione oggi stimata fra 75 e cento miliardi di euro l’anno.
Il primo fronte della riforma potrebbe essere l’imposta sui redditi delle società, l’Ires. E potrebbe entrare in vigore insieme all’adozione in Italia, all’inizio del 2024, della «Global minimum tax» sulle multinazionali da oltre 750 milioni di dollari di fatturato. Quest’ultima, grazie a un accordo fra le democrazie avanzate dell’Ocse, prevede che il Paese della casa madre o il Paese ospitante di un ramo di una multinazionale possa aggiungere carico fiscale se l’onere resta sotto al 15%. Quell’aliquota è dunque il minimo consentito.

I controlli
Immaginata da Maurizio Leo, la nuova Ires mutua parte di questo principio anche per le imprese più piccole e tutte italiane. L’aliquota di base resta al 24%; ma può ridursi (potenzialmente) fino al 15% se l’impresa, invece di distribuire gli utili agli azionisti, li impiega nel biennio successivo in investimenti innovativi (modello «Industria 4.0»), per spese in software proprietario, in brevetti e disegni («Patent box»), oppure se usa quegli utili per assumere i disoccupati più ai margini del mercato del lavoro: persone che escono dal Reddito di cittadinanza, donne o ultracinquantenni. Nel mondo delle imprese c’è preoccupazione che un incentivo disegnato così porti l’Agenzia delle entrate a sindacare su ogni voce del bilancio, di fatto sedendosi in cabina di guida accanto ai manager dell’impresa.
Il viceministro Leo conta invece su una semplificazione dei rapporti delle aziende con il Fisco. Per le più piccole, la chiave dovrebbe essere un uso massiccio e incrociato delle banche dati disponibili su fatturazioni o imposta sul valore aggiunto (Iva). Sulla base di quelle conoscenze, l’Agenzia delle entrate proporrebbe su vasta scala alle imprese medio-piccole dei «concordati preventivi biennali»: in sostanza, una proposta di gettito per i due anni a venire. Se l’impresa non accetta, allora sarebbe esposta ad accertamenti più intrusivi in qualunque momento.
Per i gruppi più grandi invece il governo pensa di allargare l’area della cosiddetta «cooperative compliance», già lanciata dall’Ocse. In ogni grande azienda un professionista, interno o esterno, avrebbe l’obbligo di segnalare in anticipo all’Agenzia delle entrate i possibili rischi di inadempienza: redditi all’estero, Iva ridotta o altro. Si tratta di una sorta di auto-controllo di regolarità, soggetto a verifiche. Con penalità più severe per chi sgarra.
Così la legge delega fiscale sta prendendo forma nel ministero dell’Economia, volutamente abbastanza dettagliata da restringere i margini di manovra del parlamento. Il cammino non è neppure all’inizio e dovrà affrontare molte salite — a partire dall’assalto alla giungla dei bonus fiscali — che hanno già respinto molti governi nell’ultimo decennio. Di sicuro un confronto con le parti interessate potrebbe spianare ostacoli oppure segnare cedimenti alle mille, eterne, lobby d’Italia. Almeno però sarebbe un segnale che il governo, in politica economica, non aspira solo a navigare da un’emergenza all’altra.

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