19 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Maurizio Ferriere

Chi si aspettasse dalla Legge di bilancio almeno un riassunto degli obiettivi di questo governo, resterebbe deluso. Si tratta perlopiù di una lista di misure settoriali

Chi si aspettasse dalla Legge di bilancio, ora in discussione alla Camera, almeno un riassunto degli obiettivi strategici di questo governo, resterebbe sicuramente deluso. Si tratta perlopiù di una lista disparata di misure settoriali. Sulla pubblica amministrazione — come è noto uno dei tasti più dolenti, anche in vista dell’utilizzo efficace dei fondi europei — la manovra introduce ben poche novità: risorse per nuove assunzioni, l’istituzione di una unità di missione presso il Mef per il supporto all’attuazione del Piano per la Ripresa e la Resilienza e un generico impegno a rafforzare le capacità amministrative per il monitoraggio e la valutazione.
Un programma più preciso sulla «riforma della burocrazia» si trova nell’Agenda per la semplificazione 2020-2023, da poco approvata, la quale si pone due obiettivi generali molto ambiziosi: l’eliminazione sistematica dei vincoli burocratici alla ripresa, la riduzione dei tempi e dei costi delle procedure per le attività dei cittadini e delle imprese. Cinquanta pagine di ottimi propositi, suddivisi per settori d’intervento. Alla fine del testo c’è persino un cronoprogramma: per ogni azione, una scadenza e addirittura l’indicazione degli uffici responsabili.
Che sia la volta buona? Vedremo presto dei risultati? Perché di questo i cittadini italiani hanno bisogno: concretezza, tempi certi, soluzioni all’altezza dei problemi, soprattutto quelli generati o amplificati dalla pandemi.
L’Agenda è figlia del famoso decreto semplificazioni, varato nel luglio scorso. Si tratta di un testo programmatico, senza valore vincolante. La sua attuazione implica però una serie di delicati interventi sulle pratiche e le procedure dei nostri uffici pubblici. Chi le selezionerà e chi proporrà i cambiamenti? Qui sorgono i primi dubbi: troppi attori coinvolti. Ciascuna azione dovrà essere condivisa fra Governo, regioni ed enti locali; coordinata da un Comitato inter-istituzionale (non meglio identificato), che si avvarrà di un tavolo tecnico, il quale opererà a sua volta “insieme a tecnici di settore … operanti nelle amministrazioni ai diversi livelli di governo”.
E’ ovvio che la sburocratizzazione debba avvalersi di indicazioni da parte di chi applica (o subisce) le procedure. Ma se l’obiettivo è snellire e sfoltire, perché iniziare con la moltiplicazione di organi e processi? Il pletorico tavolo tecnico diventerà un “team per la risoluzione delle complicazioni burocratiche”, dice il testo. Auguri. Se mai vedrà la luce, sarebbe bene che questo “team” si occupasse innanzitutto di semplificare se stesso.
Quanto al cronoprogramma, ci sarà qualcuno che sorvegli sul rispetto dei tempi, che spieghi le ragioni di eventuali ritardi, individuandone i responsabili? L’esperienza non consente ottimismi. Prima di questa, ci sono già state agende simili(nel 2015 e nel 2018). Chi è così fortunato da imbattersi nei rapporti di “monitoraggio”, navigando fra vari siti, non troverà in realtà nessun monitoraggio. Almeno non nel significato che questa parola ha negli altri paesi UE: la presentazione chiara dei risultati ottenuti, in base agli obiettivi di partenza. Insomma, le realizzazioni concrete, tangibili per i cittadini: non liste di accordi siglati, webinar per i funzionari, ricognizioni, approfondimenti. Uno dei temi centrali , sin dal 2016, è la definizione di una “modulistica unificata”. Dopo quattro anni questa immane sfida non è ancora stata superata, visto che resta fra le priorità della nuova Agenda.
Nessuno dubita della buona volontà di chi partecipa ai vari tavoli e comitati. Il paradosso che accompagna il nostro paese tutte le volte che si cerca di riformare la pubblica amministrazione è però che né i suoi funzionari né i nostri legislatori hanno una mentalità “semplificante”. Non riescono a liberarsi della logica procedurale e a fare il salto verso la logica della risoluzione dei problemi.
La recente controversia sulla governance del Piano di Ripresa e Resilienza, che ha rischiato di provocare una crisi di governo, è apparsa completamente priva di collegamento con il mondo reale. Nessuno ha parlato di questioni sostanziali: di obiettivi e strumenti da scegliere sulla base di una diagnosi articolata della crisi italiana, dei vari possibili scenari, di valori capaci di orientare le scelte. Il confronto si è incentrato solo su organi e procedure decisionali, costruendo ad arte una contrapposizione fra esperti e funzionari, manager e ministeri: tutto nero o tutto bianco. Mentre è chiaro come il sole che la attuazione di un Piano da cui dipende il nostro futuro non può essere delegata né a una task force reclutata in fretta e furia dall’esterno né lasciata ad una pubblica amministrazione più incline a cercare le soluzioni nelle norme invece che nella conoscenza della realtà e delle sue sfaccettature. A complicare, appunto, invece di risolvere.
Da mesi esistono due organismi, il Comitato interministeriale per le politiche europee (CIAE) e il suo Comitato tecnico di valutazione, composto da rappresentanti dei ministeri. Sono questi i due luoghi in cui si dovrebbero intrecciare le logiche – necessariamente distinte – della politica, dell’amministrazione e della competenza esperta, anche con apporti esterni. Possibilmente sotto la luce del sole, senza annunciare miracoli e mettendo i cittadini in condizione di capire dove stiamo andando, a che punto siamo e quali ostacoli dobbiamo superare.

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