22 Febbraio 2025

Sul premierato, regionalismo differenziato e sulla riforma della giustizia il quadro delle riforme costituzionali promosse dalla maggioranza sta cambiando contenuti e ritmi

Procedendo nel tempo il quadro delle riforme costituzionali o di rilievo costituzionale proposto con forza dalla maggioranza all’inizio di questa legislatura sta cambiando passo e fisionomia. Cerchiamo di rifare il punto della situazione ad oggi.
Sul premierato. Dopo l’approvazione in prima lettura in Senato il progetto incentrato sull’elezione diretta del Presidente del Consiglio è fermo alla Camera e non dà segni di ripresa. Secondo una indiscrezione che sta circolando la maggioranza si starebbe orientando a sostituirlo nella legislatura in corso con una riforma della legge elettorale costruita sul modello della legge Tatarella in vigore per le elezioni regionali. Modello che, pur accattonando l’aspetto più controverso dell’elezione diretta, darebbe la possibilità di rafforzare la posizione del Presidente del Consiglio e la stabilità del Governo senza intaccare il ruolo del Parlamento né i poteri del Capo dello Stato nella formazione di Governi e nello scioglimento delle Camere. Se l’indiscrezione rispondesse alla realtà la notizia sarebbe da accogliere con favore, dal momento che con questa scelta si potrebbe spostare la riforma dell’impervio terreno costituzionale al piano flessibile della legislazione ordinaria aprendo la strada ad un ventaglio molto ampio di soluzioni e accordi possibili.
Sul regionalismo differenziato. Dopo la sentenza della Corte costituzionale che ha demolito sette profili fondamentali della legge Calderoli (sentenza che ha condotto come conseguenza anche alla inammissibilità del referendum abrogativo) la palla è ritornata nel campo del Parlamento che dovrà ora procedere alla definizione di una nuova legge secondo i binari fissati dalla Corte ai fini della sua compatibilità con il dettato costituzionale. Binari che attengono ai limiti delle funzioni trasferibili anche alla luce del contesto europeo, all’equilibrata distribuzione delle competenze tra Parlamento e Governo nella fissazione dei LEP e nel procedimento del trasferimento, al quadro corretto delle implicazioni finanziarie del regionalismo differenziato.
Infine, sulla riforma della giustizia e sulla separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri. Su questa riforma la maggioranza dichiara la sua volontà di procedere senza esitazioni, ma la resistenza che è esplosa nel mondo giudiziario cui spetta il compito di rendere operante questa riforma finirà probabilmente per indurre a qualche riflessione ispirata a realismo. Il fatto è che la separazione delle carriere, che nella sua configurazione astratta non si presenta affatto contraria a quel principio ideale di parità delle parti (dell’accusa e della difesa) che va perseguita nel processo penale, per poter ben funzionare nel contesto italiano dovrebbe quantomeno rispettare una condizione precisa che è quella di non aprire la strada ad una dipendenza dei pubblici ministeri dal potere politico. Per evitare questa possibile (e nel nostro caso anche probabile) distorsione esistono, peraltro, tanti strumenti di cui la riforma, con alcuni correttivi adeguati, potrebbe farsi carico sia attraverso il rafforzamento dell’obbligatorietà dell’azione penale sia attraverso una sicura neutralità nella composizione degli organi di governo e di controllo disciplinare dei magistrati inquirenti. Tutto quindi induce a pensare che il quadro delle riforme costituzionali promosse dalla maggioranza stia cambiando contenuti e ritmi sotto l’azione di tanti fattori che concorrono a rendere sempre più chiara la difficoltà di condurre in porto unilateralmente riforme a forte impatto costituzionale in un paese politicamente diviso a metà qual è oggi il nostro. Mentre, d’altro canto, la dura realtà dei problemi che, nella difficile stagione che stiamo attraversando, investono quotidianamente l’azione di governo concorre certamente a stemperare la furia ideologica della vittoria che, all’inizio della legislatura, aveva indotto la maggioranza a promuovere riforme orientate, più che a correggere, a rovesciare il senso ed il fondamento storico del nostro impianto istituzionale.
Se così è viene a riaffiorare una domanda che ho già avuto modo di porre: non è forse giunto il momento per riaprire un serio tavolo di confronto tra maggioranza e opposizioni che affianchi il Parlamento e che sia in grado di far maturare sulle possibili riforme costituzionali soluzioni di buona fede impegnate a guardare lontano verso gli interessi generali destinati a sorreggere nel futuro l’unità del paese?

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