L’elezione diretta del premier potrebbe convincere in parte le opposizioni. Ma non piace alla Lega. E la leader avverte: «Le riforme e l’Autonomia si tengono, sono in un unico pacchetto»
Quando Giorgia Meloni lascia Montecitorio dopo quasi dieci ore filate di incontri con le opposizioni, i giornalisti provano a strapparle una parola in più.E la premier, esausta: «Basta, vi prego… Oggi ho dato, buona serata a tutti». La battuta più tagliente l’ha tirata fuori per replicare allo scetticismo di Giuseppe Conte. «Difficile discutere di riforme con un governo che fa queste scelte economiche», è partito carico il presidente del M5S. E Meloni, non senza malizia politica: «Mica ti voglio proporre un inciucio istituzionale!».
Quando è toccato a Elly Schlein il capo del governo l’ha presa da parte e, lontano dalle rispettive delegazioni, le ha parlato faccia a faccia per quasi venti minuti. Al momento dei saluti, tra le due leader è scattato persino l’abbraccio. Per Meloni è stata una giornata «proficua, importante e positiva», perché adesso il cantiere delle riforme «è aperto». Se qualcuno ha avuto l’impressione che la leader della destra abbia tirato fuori un diversivo per spegnere i riflettori sulle difficoltà di governare il Paese, tra la pressione degli sbarchi e la pressione dell’Europa sul Pnrr, la giornata di ieri dimostra invece, a sentire i meloniani, che «la premier fa sul serio». Al punto da aver aperto uno spiraglio anche alla proposta di Conte di una commissione bicamerale. In passato non ha portato bene, eppure la premier l’ha accolta con un «valuteremo, purché non ci siano intenti dilatori».
L’importante, per lei, è che si arrivi a una bozza in tempi rapidi e che nessuno provi a trascinarla nella palude dell’inconcludenza. Vale per le tentazioni aventiniane delle minoranze e vale per la maggioranza. Chi si è seduto faccia a faccia davanti a lei è rimasto colpito da una formula che la premier ha usato nel chiuso della biblioteca del presidente. Affermare che «questa è la madre di tutte le riforme» vuol dire da una parte alzare al massimo il livello del confronto con le opposizioni e, dall’altra, ammonire la Lega per le sue titubanze. L’uscita di Riccardo Molinari ha messo in allarme i Fratelli d’Italia e un filo di preoccupazione deve avvertirla anche la leader. Da via Bellerio dicono di condividere la concertazione con l’opposizione, ma per bocca del capogruppo alla Camera ricordano che nel programma di governo si parla di elezione diretta del presidente della Repubblica.
Per cui, se Meloni intende «virare» sul premierato forte, il Carroccio chiede che «vengano mantenute le garanzie sul ruolo del Parlamento». Un avvertimento che non è sfuggito ai meloniani, consapevoli di come il terreno delle riforme possa rivelarsi accidentato soprattutto nel campo della maggioranza. Le facce già dicono molto. Quando Meloni accoglie il verde Angelo Bonelli ricordando che viene da Ostia, un Antonio Tajani disteso e ciarliero gli dice «allora andremo insieme a mangiare le ostriche» e si sente rispondere che no, «a Ostia ci sono le telline». Matteo Salvini invece è descritto come «pensieroso e cupo». I leghisti temono che l’iter della «madre di tutte le riforme» possa intralciare la corsa dell’Autonomia e lanciano moniti alla premier, il cui senso è «non decidi tutto tu».
La leader di FdI sarebbe disposta a «esplorare» anche l’idea dell’elezione diretta del premier, l’unica in grado di convincere qualche pezzetto di opposizione. Purtroppo per Meloni, è anche la proposta che piace meno alla Lega. «Le riforme e l’Autonomia si tengono, sono in un unico pacchetto», è la linea che la presidente ha illustrato ai giornalisti. Una promessa, oppure un avvertimento.