29 Gennaio 2025

Lo stato sofferente dell’economia: la spinta post-Covid è esaurita, gli effetti del PNRR sono risultati modesti e l’export è in crisi per i timori internazionali

Nel terzo e quarto trimestre del 2024, l’economia italiana non è sostanzialmente cresciuta. L’ultima «Indagine sulle aspettative di inflazione e crescita» della Banca d’Italia fotografa un peggioramento delle prospettive delle imprese. La domanda dall’estero si è indebolita. Il nostro è un Paese nel quale da anni la componente trainante del PIL sono le esportazioni. Crescevano anche quando il PIL era stagnante. Da tre trimestri calano. Non solo quelle verso la Germania, nostro primo partner e in recessione da due anni. Ma pure quelle verso gli USA (nostro secondo mercato di sbocco), ben prima dei dazi minacciati da Trump.
Le prospettive degli scambi internazionali sono meno rosee che in passato: sia gli Usa che l’Unione europea subordinano la libertà degli scambi alle loro nuove narrazioni geopolitiche. Per anni si è chiacchierato dei danni che avremmo subito dall’avanzare della globalizzazione. Ammesso che ci siano stati, parranno ben poco cosa, rispetto a quelli che può farcene la sua ritirata.
Finora il governo Meloni ha vissuto relativamente di rendita, sul rimbalzo post-Covid della nostra economia. L’Italia è stato uno dei Paesi nei quali il contrasto alla pandemia ha più «chiuso» le attività economiche. Col ritorno alla normalità, abbiamo sperimentato un effetto tappo di champagne. Dopo, siamo stati i maggiori beneficiari dei fondi Next Generation EU. Le aspettative erano elevate e hanno portato ottimismo. Perfino politicamente la fase sembrava felice: prima un governo di interesse nazionale, ma con a capo uno dei civil servant più stimati al mondo. Poi un esecutivo con una maggioranza solida, un premier donna e un orizzonte di legislatura.
Tutto questo ha dato a Giorgia Meloni tre anni nei quali la crescita non è stata un suo problema. Ora purtroppo sono finiti. La spinta del rimbalzo post-Covid si è esaurita, gli effetti del PNRR sono risultati modesti (anche perché, direbbero i suoi fautori, abbiamo praticamente dimenticato le riforme che dovevano accompagnare le nuove spese), e i timori internazionali mettono in crisi la nostra gallina dalle uova d’oro. Alcuni rappresentanti della maggioranza insistono molto sulla demografia. Un Paese vecchio, come il nostro, non può crescere quanto un Paese giovane. Anche presumendo che il problema sia risolvibile, non lo è a breve.
C’è il rischio che Meloni e i suoi, allineandosi peraltro a quello che oggi è il pensiero dominante, interpretino le esigenze della crescita promettendo più investimenti pubblici. Immaginando che Meloni riesca a farli uscire dal computo della spesa, in sede europea, è quella la strada da battere?
Sarebbe il caso di valutare prima l’esperienza. A parte nell’immediato dopoguerra, quando l’infrastrutturazione del Paese abbassò i costi della produzione industriale e contribuì a cambiare i comportamenti insieme all’automobile, è difficile trovare un caso in cui spese di tipo infrastrutturale o interventi diretti nella produzione si siano tradotti in un tasso di crescita più elevato.
Perché scommettere su qualcosa che non ha mai funzionato, e non guardare a riforme che hanno dato più o meno gli esiti attesi? Abbiamo sotto gli occhi un caso rilevante. Sono le riforme del mercato del lavoro che, fra gli zig zag della politica, dal pacchetto Treu alla legge Biagi alla contrattazione di prossimità al Jobs Act, hanno prodotto il record di occupati dello scorso anno. Non tutti i posti di lavoro creati sono ideali, ma sono posti di lavoro. La logica è stata quella di rendere più facile combinare i fattori della produzione.
Di qualcosa di simile ci sarebbe bisogno nel pubblico impiego, dove la flessibilità non esiste. E di riforme analoghe ci sarebbe bisogno in tutti quegli ambiti nei quali prevalgono ancora rigidità che non solo riducono l’occupazione ma strangolano l’imprenditorialità. Elon Musk, tanto ammirato dalla maggioranza, in Italia non sarebbe mai andato oltre Zip2, la sua prima azienda fondata in garage come prima di lui avevano fatto Steve Jobs e Bill Gates. Fa sorridere l’entusiasmo dei nostri governanti per i satelliti di StarLink. Intanto, col pretesto di combattere i falsi, rendono un’impresa persino fare una recensione on line. Guai a immaginare che Uber o Lift (o Cabify, l’equivalente spagnolo) possano fare concorrenza ai taxi anche a Milano. Ma se il problema fossero solo auto bianche e balneari, sarebbe poca cosa. Purtroppo il peso della regolamentazione è pervasivo e cumulativo, imposizioni e vincoli su una produzione significano minore efficienza nel realizzare ciò che servirebbe ad altre. Il risultato è che nascono meno imprese di quante ne muoiono.
Parlando di nuovi investimenti Meloni non scontenterebbe nessuno, il prezzo delle riforme è invece il consenso di determinate categorie. Ma le riforme produrrebbero crescita, le spese solo debito.

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