20 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Francesco Verderami

La politica del rinvio che mette a rischio i numeri del governo in Parlamento


La differenza che passa tra una «comunicazione» e una «informativa» del presidente del Consiglio in Parlamento, è che nel primo caso le Camere si esprimono con un voto al termine del dibattito, nel secondo no. Se alla vigilia del Consiglio europeo Giuseppe Conte ha optato per una «informativa» — rischiando peraltro di violare la legge, come sostiene Mario Monti — è perché teme di non avere i numeri a Palazzo Madama, dove tra maggioranza e opposizione c’è uno scarto di una ventina di senatori.
E la distanza è anche minacciata da una decina di parlamentari posti nella terra di mezzo tra i due schieramenti. Insomma, l’eventualità di un’incidente per il governo è sempre dietro l’angolo, anche se gli incidenti non esistono perché la loro natura non è mai numerica. È sempre politica. E politicamente Conte guida una coalizione sfilacciata, a cui le divergenze sul Meccanismo europeo di stabilità — che è il motivo del mancato voto in Parlamento — conferiscono paradossalmente un’aura dietro la quale nascondere il vuoto programmatico.
Qual è infatti il tratto distintivo della maggioranza giallorossa? Quale è il provvedimento che ne ha marcato finora il profilo? Se è vero che la differenza rispetto all’alleanza gialloverde è la sua dimensione europea, alternativa alla linea sovranista, perché il premier continua a ripetere che sul Mes «dovrà decidere il Parlamento», omettendo di spiegare qual è la sua posizione?
Così facendo il governo finisce per accreditare la tesi secondo la quale non è nato (solo) per opporsi alla logica dei «pieni poteri» evocati l’estate scorsa da Matteo Salvini, ma (soprattutto) per assicurare una continuità politica e culturale quando si dovrà affrontare il tema del Quirinale.
Se fosse davvero questa l’unica ragione sociale che tiene insieme la maggioranza, allora il collante potrebbe non bastare: sono troppo gravi i problemi da risolvere e troppo lungo il tempo che dovrà passare fino al gennaio del 2022, termine del settennato di Sergio Mattarella. Il Pd avverte la complessità della situazione nel Paese, sente il peso gravargli sulle spalle e teme di rimanerne schiacciato: ma diviso com’è tra chi difende lo status quo e chi chiede un segno di discontinuità, per ora non va oltre le esortazioni a Conte affinché dia uno scatto all’azione di governo. Il premier però non sembra tenerne conto, se immagina di presentare solo a settembre il suo «piano di rinascita», dimenticando che l’emergenza economica e la preoccupazione per possibili tensioni sociali impongono scelte immediate.
La politica del rinvio può innescare una crisi, più di un inciampo in Parlamento. D’altronde il rinvio è funzionale alle necessità dei grillini. Il M5S, posto davanti al duro mestiere di governare, in due anni ha dovuto abiurare a (quasi) tutte le sue parole d’ordine. E le contraddizioni hanno aperto crepe ideologiche nel Movimento, che oggi sono usate come alibi per fomentare il malcontento da parte di chi contesta il sistema di potere interno per sovvertirlo. Traduzione: è solo una battaglia di potere. E Conte ne approfitta per galleggiare sopra lo sfilacciamento. Ma questi non sono tempi per galleggiare.

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