La popolazione italiana esprime un bisogno di servizi alla persona caratterizzato dal profilo demografico. La presenza di una grossa componente nella popolazione di persone anziane genera una domanda fortemente connotata dalla prevalenza di pazienti fragili, cronici e polipatologici.
La destrutturazione del tessuto familiare e amicale ha accentuato la rilevanza della fragilità delle persone soprattutto ultra 75enni. Attualmente però se poniamo la centralità della persona come criterio prioritario ci si accorge di come vi siano due sistemi che coesistono: il sistema sanitario gestito a livello regionale sulla base del dettato del titolo V della Costituzione e il sistema sociale demandato agli Enti Locali sulla base della legge 328/00.
Che cosa sia socio sanitario e cosa socio assistenziale non è di semplice identificazione, rimane il tema fondamentale che l’integrazione, il coordinamento tra i due sistemi rappresenta una delle priorità a fronte di un bisogno indifferenziato da parte dei cittadini.
Inoltre anche prima della pandemia da Covid 19 già si assisteva a un utilizzo o a un ricorso non sempre appropriato alle strutture ospedaliere anche in presenza di una domanda cronica o post acuta. Soprattutto in questi anni è emersa l’urgenza di ripensare, riorganizzare i servizi territoriali, investendo sulla domiciliarità e sulla presa in carico complessiva dell’utente. Ricomponendo i servizi e offrendo un percorso integrato volto a dare risposta quanto più vicino possibile al domicilio del paziente e dei suoi cari.
Ripensare il ruolo dell’ospedale, dei servizi di assistenza domiciliare integrata, delle cure intermedie e delle cure primarie è quindi, non da oggi, al centro del dibattito. Il PNRR ha colto questa esigenza identificando nelle missioni 5 e 6 obiettivi chiari di inclusione, di costruzione di reti di prossimità, di ripensamento della domiciliarità e di sviluppo delle case della comunità.
In diverse regioni italiane sono già state organizzate e funzionano con risultati molto buoni le case della salute, ad esempio in Emilia-Romagna sono calati gli accessi al Pronto soccorso (-25%) e i ricoveri ospedalieri (-4,5%). Inoltre, da uno studio del 2002 fatto dalla Regione Emilia Romagna emerge come Dove c’è una Casa della Salute si riducono del 16,1% gli accessi al Pronto soccorso per cause che non richiedono un intervento urgente, percentuale che sfiora il 25,7% quando il medico di medicina generale opera al loro interno. Contemporaneamente, calano (-2,4%) i ricoveri ospedalieri per le patologie che possono essere curate a livello ambulatoriale, come diabete, scompenso cardiaco, broncopneumopatia cronica ostruttiva, polmonite batterica. Anche in questo caso l’effetto è maggiore (-4,5%) se presente il medico di medicina generale. Non solo, perché nei territori serviti dalle Case della Salute si è intensificata nel tempo (+9,5%) l’assistenza domiciliare al paziente, sia infermieristica che medica[1].
Ora però la sfida è più complessa, non ragionare solo in termini di salute ma di comunità di reti sociali, di presa in carico della persona nella sua totalità e non solo relativamente ai temi legati alla salute. Le reti sociali, reti spesso informali, che coinvolgono anche le associazioni di volontariato, il vicinato, la dimensione più piena dell’essere inteso come persone.
La prospettiva, come giustamente identificato dalla missione 5, non può che essere quella dell’inclusione, della coesione, della ricomposizione della frammentazione che la società, la vita ci propone e impone soprattutto ai più fragili: gli anziani, le persone con disabilità, i minori.