L’elezione di Trump potrebbe mettere in difficoltà la Ue. Ma proprio nei momenti difficili si può dare il meglio
Il trionfo di Donald Trump coglie l’Unione europea nel suo momento di massima debolezza. Due anni e mezzo di guerra alle frontiere non sono bastati ai governi del continente ad assemblare un embrione credibile di difesa comune. Quasi duecento miliardi di euro impegnati per l’Ucraina non stanno bastando a scacciare lo spettro di una sconfitta. Quanto alla crescita, viaggia poco sopra lo zero soprattutto nelle sue economie più importanti. Nessuna grande impresa europea è prossima a posizioni di leadership su alcuna delle nuove tecnologie determinanti del nostro tempo. E sulle migrazioni finora non si è formato, nella sostanza, alcun approccio comune fra i ventisette Paesi del club.
È su questo sfondo che alla Casa Bianca sta tornando Trump con le sue promesse: dazi fra il 10% e il 20% anche nei confronti dell’export europeo e una riluttanza ancora più marcata di prima a garantire la sicurezza del continente.
Eppure, senza l’America, l’Unione europea è ben lontana dal poter assicurare la propria difesa. E nei confronti dell’economia americana l’anno scorso ha accumulato un surplus in 157 miliardi di euro nello scambio di beni — farmaceutica e auto su tutti — con il surplus italiano da solo a circa 40 miliardi di euro. Senza il ruolo degli Stati Uniti, la Russia adesso starebbe già esercitando la sua pressione sui Paesi baltici o sulla Polonia, mentre la crescita del continente sarebbe ancora minore.
Ieri sono bruscamente caduti in borsa titoli come quelli delle tedesche Bmw e Mercedes-Benz, della francese Pernod-Ricard o dell’italiana Campari — tutti marchi popolari negli Stati Uniti — nel timore di un’ondata di protezionismo americano degno della Grande depressione degli anni ’30. E da Mosca sono arrivate richieste alla nuova amministrazione Trump perché «forzi la capitolazione del regime neonazista ucraino».
Non è un mondo per vasi di coccio. E in questo mondo, da ieri mattina, la posizione di rendita dell’Europa nello scacchiere globale è decisamente tramontata, ammesso che non lo fosse già da tempo senza che noi lo avessimo realmente ammesso a noi stessi.
Tutto è di nuovo in gioco. Già prima delle nove di ieri mattina, il presidente francese Emmanuel Macron ha parlato al cancelliere tedesco Olaf Scholz in vista di un’Europa «più unita, più forte e più sovrana in questo nuovo contesto». Molto condivisibile. Il solo problema è che i leader di Francia e Germania sono anatre zoppe entrambi, minati nella loro credibilità dalla gestione contraddittoria della crisi ucraina e dalla rivolta degli elettori nei loro Paesi. Nessuno dei due è certo di trovarsi ancora al potere fra qualche mese. I sistemi politici di Francia e Germania sono oggi profondamente in crisi, semiparalizzati, percorsi da un’instabilità che non si vedeva da decenni. Intanto le élite politiche di Parigi e Berlino continuano a diffidare le une delle altre. Ed è su questo sfondo che avremo comunque presto elezioni in Germania — forse anticipate — mentre nel 2025 si potrebbe tornare a votare in Francia sia per le politiche che per l’Eliseo, qualora Macron decidesse di sbloccare l’impasse dimettendosi.
L’unico modo che ha l’Unione europea di uscire dall’angolo adesso è scegliere i propri istinti migliori. Lo ha fatto già altre volte, ai punti di svolta nella storia. Dopo la caduta del Muro di Berlino, ha immaginato e realizzato l’euro. Con la crisi finanziaria, è riuscita a far crescere una banca centrale e un’unione bancaria più degne dei loro nomi. Con la pandemia, ha lanciato il primo eurobond con il Recovery Plan da 800 miliardi di euro.
Con il ritorno di Trump, se l’Unione europea vuole avere un futuro politico, dovrà affrontare un’altra svolta entro il prossimo anno. Il campo di gioco è già disegnato: un’integrazione reale nella difesa e nei suoi sistemi industriali; un nuovo eurobond per un’integrazione fisica e tecnologica dei sistemi di energia decarbonizzata; un mercato europeo dei capitali privati, per far crescere grandi imprese continentali che possano competere ad armi pari nel mondo.
L’alternativa per i governi europei sarebbe solo competere gli uni con gli altri per cercare di conquistare, ciascuno, un po’ di clemenza dalla Casa Bianca. Sarebbe perdente per tutti, sia per i governi politicamente più lontani come per i più vicini al presidente che ritorna. Trump non chiede altro che di praticare sull’Europa il suo corrosivo «divide et impera», a danno di tutti e alla lunga anche di se stesso, che resterebbe con qualche vassallo ma senza alleati.
Sono passate solo poche settimane da quando Mario Draghi, presentando il suo rapporto sulla competitività, ha avvertito che l’Europa rischiava una «lenta agonia». Neanche lui forse sospettava come la prospettiva di questa «agonia» sarebbe diventata così concreta tanto presto. Ma in fondo proprio la vicenda di Draghi, dal salvataggio dell’euro alla ripresa post-Covid, è lì a ricordarci l’altra faccia della medaglia: anche nei momenti peggiori, è sempre prudente non affrettarsi a dare l’Europa per spacciata.