Fonte: Corriere della Sera
di Federico Fubini
Mentre la crisi fra il governo e l’Ue si avvita, le due parti continuano a giocare al buio: ciascuna male informata sul modo nel quale l’altra pensa e si prefigura un finale di partita
Quel che non funziona fra l’Italia e Bruxelles si riassume nella giornata che oggi Mário Centeno passerà a Roma. All’ora di pranzo il presidente dell’Eurogruppo è in via XX Settembre con il ministro dell’Economia Giovanni Tria. All’ora del caffé, a Palazzo Chigi dal premier Giuseppe Conte. Prima del tramonto sarà sulla strada dell’aeroporto, avendo coperto migliaia di miglia aree senza incrociare le due persone con le quali dovrebbe sedersi per fare la differenza nella crisi attuale dell’area euro: i due che decidono in Italia, Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Centeno, ministro delle Finanze del Portogallo, non ha osato chiamare i vicepremier per un proporre un incontro perché avrebbe infranto il protocollo: Tria si sarebbe visto messo da parte e delegittimato dalla sua stessa controparte europea. Quanto a Di Maio e Salvini, non hanno mai cercato il tempo di un caffé con Centeno, con il vicepresidente della Commissione Ue Valdis Dombrovskis o con commissario agli Affari monetari Pierre Moscovici.
Così, mentre la crisi fra Roma e Bruxelles si avvita, le due parti continuano a giocare al buio: ciascuna male informata sul modo nel quale l’altra pensa e si prefigura un finale di partita. In questo la vertenza italiana del 2018 è davvero diversa da quella greca del 2015. Allora Alexis Tsipras scambiava accuse continue con le figure di punta dell’Unione europea, ma almeno le incontrava e poi, da leader, era in grado di decidere per la Grecia. In Italia invece chi parla con gli ambienti europei sui problemi dell’economia non ha potere e chi ha potere non parla con gli ambienti europei. Le parti di sfidano ma non si conoscono. È anche per questo che producono cortocircuiti come quello di ieri, quando Tria ha individuato una «défaillance tecnica» nelle previsioni della Commissione Ue che fissano al 2,9% del prodotto lordo (Pil) il deficit per il 2019.
È probabile che qui né la Commissione Ue né il Tesoro di Roma abbiano ragione e gli errori di stima di entrambi si spieghino con ragioni politiche. Il governo vede un deficit non oltre al 2,4% del Pil l’anno prossimo sulla base di una crescita complessiva dello 0,9% del prodotto reale e dell’1,8% dei prezzi; questa stima sembra davvero troppo ottimistica perché l’economia e i prezzi molto probabilmente cresceranno meno di quanto dica il governo. La Commissione invece vede un deficit italiano più alto -all’2,9% del Pil nel 2019 e al 3,1% nel 2020 – sulla base di una crescita del prodotto reale dell’1,2% l’anno prossimo e dell’1,3% dei prezzi. A un disavanzo tanto più elevato rispetto ai piani del governo i tecnici di Bruxelles arrivano in base a vari fattori tutti credibili: uno 0,1% di deficit in più già nel 2018, che poi si trascinerà all’anno prossimo; un altro 0,15% di deficit in più da interessi sul debito, a causa dell’aumento già avvenuto sul rischio-Italia; più un ulteriore 0,1% di deficit in più dovuto alla più bassa crescita del complesso dell’economia in termini reali e dei prezzi. In sostanza Bruxelles vede uno 0,35% in più di deficit ma riesce ad arrotondare fino a 0,50%. Proprio ciò permette di mostrare che il disavanzo salirà al 2,9% nel 2019 (dunque sarà il più alto dell’area euro) e soprattutto sopra il 3,1% nel 2020. Ciò giustifica il lancio già deciso di una procedura piuttosto aggressiva subito.
In sostanza a Roma, per ragioni politiche, si cerca di far apparire artificiosamente un po’ migliore lo stato dei conti; a Bruxelles per ragioni opposte non si fanno sconti. È quasi sicuro che fra pochi giorni l’Ufficio parlamentare di bilancio italiano, che è indipendente da entrambi, correggerà in peggio del stime del Tesoro ma in meglio quelle di Bruxelles. È probabile poi che l’economia si fermi o vada in recessione presto, proprio a causa dell’incertezza creata dal governo, quindi alla fine lo stato dei conti nel 2019 si riveli anche più preoccupante di come indica oggi la Commissione stessa. Ma questa sfida mostra quanto quello in corso sia un dialogo fra sordi, fra forze che non si capiscono. Sono i più pericolosi.