L’allarme è emerso da un dibattito tra il gotha dell’internet governance europeo, durante il Nam 2024 di giugno
C’è una tentazione che conquista sempre più Paesi. E non solo quelli totalitari. Manipolare le infrastrutture digitali alla base della grande rete internet, per motivi di sicurezza o geopolitici. Ma questa mossa, anche quando animata da apparenti buoni motivi (per tutelare interessi legittimi), è sempre pericolosa. Una tentazione fatale. L’allarme e anche qualche possibile soluzione al dilemma – come proteggere gli utenti internet senza rompere il giocattolo – è emerso da un dibattito tra il gotha dell’internet governance europeo, durante il Nam 2024 di giugno (organizzato dal consorzio non profit Namex, punto neutrale di interconnessione tra reti in Italia).
“Quando abbiamo cominciato, se parlavamo di internet ci rispondevano due cose: è ‘che cosa è internet’ o quanto internet fosse buona. Adesso sempre più politici, governi dicono che internet può essere una cattiva idea e vogliono bloccarla in qualche modo”, dice Andrew Sullivan, dell’Internet Society, la famosa charity globale per lo sviluppo benefico della rete. “Ecco perché è sempre più importante difendere internet”.
Nel 2024, secondo un monitoraggio dell’Internet Society, ci sono stati finora (inizi giugno) 38 blocchi volontari di internet, voluti quindi dai Governi. Il principale Paese a farne non è la Russia, né tantomeno la Cina, ma la più grande democrazia al mondo (per numero di abitanti): l’India. Secondo i dati compilati da Access Now e dalla coalizione #KeepItOn, nel 2023 l’India è stata in testa a questa poco lusinghiera classifica, con 116 chiusure, con una tendenza crescente verso le chiusure regionali rispetto quelle localizzate, in particolare nel Manipur e nel Punjab.
È preoccupante, notano gli esperti, che questa tentazione conquisti le democrazie. I motivi per cui fanno questi blocchi sono vari e non sempre motivati a reprimere una protesta (com’è successo in Iran). “A volte dicono di farlo per proteggere una elezione dal rischio di disinformazione o un concorso pubblico da frodi. In molti di questi casi i Governi fanno un errore in buonafede, danneggiando però così il proprio Paese e la rete globale”, spiega Sullivan.
I Governi – nazionali o regionali – chiedono agli operatori di fare blocchi all’accesso internet. A volte però si rivolgono alle istituzioni globali dell’internet governance per bloccare a livello centrale alcuni contenuti o connessioni. E anche in questo caso i motivi possono sembrare umanamente condivisibili. Nel 2022 l’Ucraina ha chiesto a due organismi, Icann e Ripe Ncc, di intervenire contro la Russia. Il Ripe è un registro Internet responsabile dell’assegnazione degli indirizzi. L’Icann è un’organizzazione multistakeholder senza scopo di lucro, responsabile della sicurezza di alcune operazioni vitali di Internet.
L’Ucraina ha chiesto all’Icann di revocare i diritti dei domini di primo livello geografici russi (i nomi di dominio .RU, .SU e .рф) e di chiudere i root server in Russia. Hanno inoltre chiesto al Ripe Ncc di revocare i diritti dei membri russi sugli indirizzi IPv4 e IPv6.
Allo stesso tempo, alcuni Paesi occidentali hanno emesso sanzioni contro la Russia che hanno avuto l’effetto di disconnettere parti dell’infrastruttura di internet dalle reti russe. Icann e Ripe hanno respinto però la richiesta ucraina che avrebbe sganciato del tutto la Russia dall’internet globale.
Perché manomettere internet è sempre una cattiva idea
“Quando abbiamo ricevuto la richiesta ucraina le bombe russe uccidevano civili. Posso capire appieno la posizione dell’Ucraina, che voleva così proteggersi dalla disinformazione online e da cyber attacchi russi”, dice Hans Petter Hollen, responsabile europeo del Ripe. Ma sarebbe stata comunque una cattiva idea: “il nostro registro serve a identificare le entità sulla rete. Se lo usassimo come arma per sanzioni internazionali non sapremmo più chi fa cosa”, spiega. A danno di internet e anche della necessità, per le autorità internazionali, di identificare i soggetti malevoli. “Anche noi ricevuto la lettera, è stato un momento, ma la nostra governance resta multistakeholder fatta di Governi, tecnici, aziende”, spiega Chris Mondini, responsabile europeo di Icann. “Se un solo Governo ha il potere di ottenere questo, tutto il sistema salta, cade la fiducia in internet da parte di cittadini, imprese, Stati”, aggiunge.
No quindi a internet come arma geopolitica, significa condannarla a morte. È nella sua neutralità che trova il suo senso di esistere. Per di più, significa compromettere il valore della rete proprio quando le persone ne hanno più bisogno, per trovare informazioni accurate e accedere a mezzi di sicurezza, secondo l’Internet Society. “Non possiamo permettere che Internet diventi una pedina della geopolitica. Politicizzare le decisioni sul funzionamento interno di Internet crea un pericoloso precedente che ci mette sulla strada di una “splinternet” – un Internet artificialmente suddiviso lungo confini politici, economici e tecnologici. Gli effetti potrebbero essere irreversibili, aprendo la porta a ulteriori restrizioni in tutto il mondo”, scrive l’Internet Society in un manifesto pubblico.
“Chiediamo ai governi, alle aziende e alle organizzazioni di tutto il mondo di garantire che la governance tecnica quotidiana di Internet non sia politicizzata. È fondamentale che la gestione e le operazioni dell’infrastruttura di Internet, compresi i sistemi di denominazione, indirizzamento, instradamento e sicurezza, rimangano apolitici. Le sanzioni non devono interrompere l’accesso e l’uso di Internet. Laddove necessario, i regimi sanzionatori dovrebbero offrire esenzioni per garantire la continuità del servizio dell’infrastruttura Internet”.
Che si può fare?
Qualcosa si può fare comunque, però. In un rapporto del 2022 firmato da diversi esperti (tra gli altri, di Icann, Ripe, parlamentari europei, accademici), Multistakeholder Imposition of Internet Sanctions si dice che non si può disconnettere una popolazione da internet, ma ci possono essere sanzioni focalizzate e precisi contro attori e contenuti malevoli. L’Europa ha bloccato gli strumenti media di propaganda del Cremlino. Si possono fare blacklist di entità (indirizzi ip, domini, traffico), a patto che sia una decisione temporanea e revocabile; e purché sul punto la community multistakeholder alla base della governance di internet raggiunga un consenso. Questa misura “una volta decisa, è facilmente invocabile e altrettanto facilmente revocabile una volta risolto il problema. Soprattutto, non comporta costi o rischi significativi ed è in linea con i valori e i principi di governance multistakeholder di Internet”, si legge nel rapporto.
Anche le autorità nazionali possono agire contro il rischio disinformazione che proliferano sui social e sul web. Da noi lo fa l’Autorità Garante delle Comunicazioni (Agcom), con un tavolo aperto a tutti gli stakeholder (operatori, editori, social…). Anche questa misura va concertata con tutti – com’è nella natura della rete – e soppesata con cura. “Attenzione, l’errore sarebbe chiedere la censura di un contenuto che non è disinformazione ma è un’opinione sgradita a un certo Governo o maggioranza”, ha detto Davide Gallino, di Agcom, al Nam 2024.