23 Novembre 2024

ESTERI

Fonte: Il Sole 24 Ore

Putin

La Russia non si metterà in guerra contro la Turchia, come ha detto ieri il ministro degli Esteri Serghej Lavrov. E probabilmente, sul fronte economico, non utilizzerà neppure l’arma più potente che Vladimir Putin ha in mano, il rubinetto del gas. Il giorno dopo l’abbattimento del caccia russo in Siria, sia Mosca che Ankara calibrano le proprie reazioni, accettando l’invito a evitare un’escalation. Ma i russi non lasceranno correre: «Riconsidereremo seriamente le relazioni», dice Lavrov. Proprio sul fronte dei legami commerciali, nelle dogane e nelle agenzie viaggi, la ritorsione russa ha già preso forma.
E l’impatto si farà sentire. «Un colpo da 44 miliardi di dollari», titolava ieri il portale russo di informazione economica Rbk: udar, il «colpo», è la pugnalata turca alla schiena citata martedì da Putin mentre, furibondo, commentava l’abbattimento del jet. Quei 44 miliardi sono un modo per quantificare la posta in gioco nel confronto tra russi e turchi: la Russia è il secondo partner commerciale di Ankara, un interscambio pari a 31 miliardi di dollari nel 2014, e a 18,1 miliardi per i primi nove mesi del 2015. Considerando anche il settore dei servizi, la cifra sale appunto a 44 miliardi.

Due mesi fa, le ambizioni correvano alte: in visita a Mosca il 23 settembre – pochi giorni prima dell’avvio della campagna militare russa in Siria – il presidente turco Recep Tayyep Erdogan disse a Putin che entro il 2023 il commercio bilaterale avrebbe dovuto raggiungere i 100 miliardi. Approfittando anche del fatto che le sanzioni americane ed europee contro la Russia, a cui la Turchia non ha aderito, le lasciavano spazi in cui inserirsi.
Ambizioni oggi vittime della guerra in Siria. Attribuendo alla Turchia «un atto criminale», il primo ministro Dmitrij Medvedev ha avvertito ieri che «le dirette conseguenze potrebbero implicare da parte nostra il rifiuto a partecipare a tutta una serie di progetti congiunti, mentre le imprese turche perderanno posizioni sul mercato russo».
La ritorsione è già scattata. Ubbidendo alla raccomandazione dell’Ente federale per il turismo, tutti i più importanti tour operator russi hanno bloccato ieri le vendite di pacchetti vacanze in Turchia, tra le mete favorite dei russi: più di 4 milioni l’avevano scelta nel 2014. E intanto, l’Associazione russa dei produttori tessili ha indirizzato una lettera al governo chiedendo il boicottaggio degli acquisti di abiti e beni di consumo dalla Turchia. L’import dalla Turchia in questi settori, scrive l’Associazione, è pari a sette miliardi di dollari.

La ritorsione ha un effetto valanga. Al porto di Novorossiisk, sul mar Nero, le dogane russe ora bloccano i carichi in arrivo dalla Turchia, senza dare spiegazioni. Mentre l’immancabile Rosselkhoznadzor, l’ente che sorveglia quanto viene importato in Russia dal punto di vista sanitario, d’improvviso ieri ha rinvenuto la presenza di pericolosi batteri nel pollame di un’impresa turca, che si è vista bloccare le vendite. Da parte sua, la Turchia è un grande mercato per il grano russo.
Il grande rischio, ha avvertito ieri Putin, è che l’”incidente” dell’aereo si ripeta. Ma per ora sembra difficile che il gelo piombato tra Mosca e Ankara possa sconvolgere il fronte dell’energia, in cui gli interessi reciproci sono strettamente intrecciati. Mosca è il principale fornitore di gas della Turchia, che importa dai russi il 60% del fabbisogno annuo. E la Turchia, dopo la Germania, è il secondo cliente di Mosca. Su 50 miliardi di metri cubi (e una spesa annua di 50 miliardi di dollari per l’import turco di energia) da Gazprom ne arrivano 30. Senza contare il passaggio al nucleare, che Ankara ha affidato in buona parte ai russi: nel 2013 la Turchia ha commissionato alla russa Rosatom la sua prima centrale, quattro reattori e un progetto da 20 miliardi, il più grande progetto comune. «Perdere la Turchia – disse Erdogan lo scorso ottobre – sarebbe una seria perdita per la Russia». E viceversa.

Anche prima dell’abbattimento del jet, tuttavia, i problemi e le tensioni bilaterali non mancavano certo: come le eterne trattative sul prezzo del gas, o sul progetto che avrebbe dovuto prendere il posto di South Stream, un gasdotto che voleva trasformare la Turchia in un hub per l’Europa. Sul destino di Turkish Stream già gravavano dubbi di carattere economico e finanziario. Dubbi che ora sembrano diventati certezze.

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