L’opposizione: “Via l’emendamento che affossa la paga oraria a 9 euro”. L’apertura della premier mette in difficoltà la maggioranza
Conto alla rovescia sul salario minimo. Sono 48 ore decisive: domani, martedì, ricomincia la battaglia in commissione Lavoro della Camera. E oggi le opposizioni decidono cosa fare dopo l’apertura della premier Giorgia Meloni: è stata fissata una riunione dei capigruppo a Montecitorio. Ma la strada, su cui per ora sembrano tutti uniti – dal Pd ai 5Stelle a +Europa, Verdi-Sinistra fino ad Azione – è che se il dialogo fiorisce, niente di meglio per portare a casa i 9 euro all’ora di salario minimo legale. Però dice il Dem Arturo Scotto – e sono parole vidimate da Elly Schlein – «nessun rinvio al buio a settembre, la destra ritiri l’emendamento che sopprime la legge sui 9 euro voluta da tutte le opposizioni (eccetto Renzi): siamo disposti a fare Ferragosto in aula».
Per la maggioranza, che dovrebbe a sua volta riunirsi tra oggi e domani, i nodi sono più difficili da sciogliere. Perché la fuga in avanti, annunciata da Meloni a Repubblica, mostra le divisioni e le crepe. La Lega con il sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon non è contraria al salario minimo: «Siamo favorevoli dove non c’è contrattazione». Nessun pregiudizio neppure da quella parte di Fratelli d’Italia che viene dalla destra sociale. Però la contrarietà di Forza Italia è alzo zero e il vicepremier Antonio Tajani ha definito il salario minimo una «misura da Urss». Se davvero la destra intende mettere mano al dossier, rimuovendo il macigno di quell’emendamento che semplicemente sopprime la legge – è scritto: articolo 1. «sopprimerlo» – è più probabile che sia Palazzo Chigi a gestire il confronto con il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari, insieme alla ministra del Lavoro Marina Calderone.
Il salario minimo diventa così un test politico. Non solo per la destra, anche per le opposizioni. La posizione dei 5Stelle è infatti di chiusura alle avances di Meloni. Vittoria Baldino, vice capogruppo grillina a Montecitorio, denuncia: «Dal governo arriva un clamoroso bluff, quello della presunta apertura, a parole, di un tavolo con le opposizioni sul salario minimo, mentre con l’altra mano, coi fatti affossano la legge in Parlamento. E la discordanza tra parole e fatti sta nel marketing politico di mezza estate: oltre il 60% tra gli elettori di destra sono favorevoli al salario minimo». Carlo Calenda, leader di Azione, ha invece dichiarato di essere fiducioso sulla possibilità di un confronto con Meloni. Ma a sua volta non pensa che possa slittare: deve essere convocato prima delle ferie. Le ipotesi e gli scenari sono i più vari. C’è chi scommette su una destra che martedì, in commissione, potrebbe decidere di rinviare tutto all’aula del 28 luglio. Qui comincia un’altra partita, dagli esiti aperti. Il Pd comunque, così come i 5Stelle, non voterebbe un rinvio a settembre. Chi invece è convinto che la trattativa sarà subito sul calendario d’aula. Rincara Andrea Orlando, l’ex ministro Dem del Lavoro: «Il salario minimo è stato introdotto spesso da partiti conservatori in Europa. Le reazioni del centrodestra sono incomprensibili. Mi auguro che dopo le parole di Meloni ci sia una coerente condotta della maggioranza».