Fonte: Corriere della Sera
di Massimo Franco
Nel modo un po’ ruvido col quale il M5S si rivolge a Salvini, si indovina il tentativo di ridimensionarne il protagonismo e i margini di manovra
Il tentativo del Movimento Cinque Stelle, adesso, è di scaricare su Matteo Salvini le tensioni interne: quasi fosse il leader della Lega il colpevole delle sconfitte elettorali collezionate a livello locale. Il vicepremier e ministro dell’Interno sta inanellando successi, sebbene forse meno eclatanti di quanto sperasse. E nel Movimento è guardato come un alleato scomodo, perché drena parte dei consensi grillini. Attaccarlo è un modo per recuperare posizioni nel Movimento; e per sviare l’attenzione dai malumori verso il capo politico Luigi Di Maio e dalla vicenda della presidente della Commissione Giustizia, Giulia Sarti, costretta alle dimissioni per una storia di rimborsi.
Così, mentre si conferma il rispetto formale del «contratto di governo», nella maggioranza si moltiplicano le tracce di una tensione che di qui alle Europee di maggio è destinata a durare. E nel modo un po’ ruvido col quale il M5S si rivolge a Salvini, si indovina il tentativo di ridimensionarne il protagonismo e i margini di manovra. Di Maio si rende conto che, se vuole recuperare un po’ di credibilità e rimanere al vertice, deve mostrarsi meno subalterno. E allora, eccolo rivendicare le percentuali di voto del Movimento rispetto alla Lega, in caso di contrasti su alcuni provvedimenti. «Il peso», puntualizza, «è due terzi del M5S e un terzo della Lega»: riferimento alle Politiche del 4 marzo del 2018. Ricordandolo, il vicepremier grillino cerca di mettere tra parentesi i sondaggi che danno ormai queste proporzioni quasi rovesciate a favore di Salvini. E addita il peso parlamentare reale sul quale i Cinque Stelle possono contare. Ma dietro si intravede comunque la frustrazione per la piega che hanno preso le cose. Rallentare sull’approvazione della legittima difesa, e sull’autonomia delle regioni del Nord come Lombardia, Veneto e Emilia Romagna, rappresenta un monito indiretto alla Lega. È come se volesse dire: senza di noi la tua agenda non farà passi avanti.
Somiglia a una strategia di resistenza fatta per placare quanti, nel Movimento, chiedono di non assecondare l’agenda salviniana: sebbene fatichino a spiegare e affermare la propria. L’incontro che Salvini ha avuto ieri con i governatori delle regioni interessate è indicativo. Lascia trasparire la preoccupazione che il M5S possa bloccare il «sì» del Parlamento, per non deludere l’elettorato del Mezzogiorno e per dimostrare alla Lega chi comanda nella maggioranza. Alla fine della riunione, Salvini ha spiegato che entro la settimana ci sarà una «sintesi finale» da discutere con l’alleato. Ma un segnale di impazienza arriva perfino dal premier Giuseppe Conte. I «suggerimenti» di Salvini sul codice degli appalti «insieme agli oltre duemila già ricevuti», fa sapere Palazzo Chigi, «andranno a integrare» lo schema al quale già lavora Conte. E il Guardasigilli Alfonso Bonafede precisa: «Non ci serviva Salvini per scoprire l’immigrazione». Sono schermaglie di una maggioranza in affanno, e di un M5S nervoso. Ma è difficile che la crisi di identità e di voti possa risolversi incolpandone Salvini. Come capro espiatorio, è improbabile.