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Il leader: all’Interno un amico, ma sono a disposizione. La premier al congresso: avanti su tutte le riforme

Alla fine Matteo Salvini si commuove. Chiude il congresso della conferma per acclamazione alla segreteria fino al 2029 con gli occhi umidi per il tempo sottratto ai figli sull’altare dell’impegno politico. Ma quel groppo in gola è anche il segno di una tensione che si scioglie al termine di un congresso che per il leader della Lega segna alcuni punti a suo favore da spendere nei prossimi mesi.
Il primo, da giocare subito, è l’assist che gli hanno fornito i vertici della Lega (dal vicesegretario Andrea Crippa al capogruppo alla Camera Riccardo Molinari) perché Salvini torni alla guida del ministero dell’Interno. Il leader, fingendo understatement, ne approfitta: «Matteo Piantedosi è un amico ed è un ottimo ministro. Questo è un congresso di partito. È mio dovere ascoltare quello che i sindaci e gli elettori ci chiedono». E quindi «di quello che mi chiedete con serenità parlerò sia con lui che con Giorgia Meloni». E pazienza se a stretto giro di posta arriva dai partiti alleati uno stop al rimpasto che peraltro la stessa premier Giorgia Meloni nel gennaio scorso aveva escluso in ogni modo. La richiesta verrà comunque messa sul tavolo, per la Lega è un altro modo per far pesare il suo ruolo nel governo, specie in una fase in cui la concorrenza con Forza Italia (e con l’altro vicepremier Antonio Tajani) è molto agguerrita.
Ma anche sul fronte interno Salvini chiude un’operazione, malgrado i mal di pancia striscianti di vari esponenti, che gli un potenziale pericolo dalla strada. Quando poco dopo le 11 chiama sul palco Roberto Vannacci per consegnargli la tessera da iscritto svaniscono, almeno nel medio periodo, tutte le preoccupazioni che il generale-eurodeputato possa creare un soggetto politico in grado di svuotare la Lega. Presto diventerà vicesegretario ma se vorrà «scalare» il partito la strada è lunga perché per raggiungere la leadership interna servono sette anni di militanza.
Il congresso di Firenze mette anche il sigillo alla definitiva mutazione genetica della Lega voluta da Salvini. Il segretario evoca Umberto Bossi e gli manda un saluto affettuoso. Mostra i famosi manifesti folkloristici della Lega delle origini, federalista e così attaccata ai territori. In sala si avverte l’effetto vintage. Ma ormai è a tutti gli effetti quello che esce dalla Fortezza da Basso è un partito nazionale, sovranista, sbilanciato a destra (anche se il leader non ama questa collocazione). Ne fanno prova tutti gli interventi degli esponenti dei partiti alleati nel gruppo europeo dei Patrioti.
Tutti lodano Salvini, tutti professano comunione d’intenti nella battaglia contro la Commissione europea e le sue politiche. Ma il sigillo è il collegamento di sabato con Elon Musk, uno dei simboli della nuova America trumpiana, un video che ha avuto risonanza mondiale e 30 milioni di visualizzazioni.
Il successo del congresso per il vicepremier sta anche nel profilo degli ospiti che hanno voluto portare un contributo e un saluto ai lavori.Oltre a Musk e agli alleati europei, la platea ha salutato con gli applausi il video con cui Giorgia Meloni ha voluto sottolineare la compattezza del governo e l’impegno a mantenere fede agli impegni presi con gli elettori (Autonomia compresa). E ha trovato buona accoglienza anche il presidente di Confindustria Emanuele Orsini, primo rappresentante degli imprenditori a partecipare ad un congresso leghista, quando ha detto che «il nucleare va fatto subito, è l’unico modo per salvare l’industria italiana».
Il congresso approva poi una serie di mozioni sui temi che dovranno caratterizzare la nuova segreteria salviniana: giustizia, sicurezza, autonomia e macroregioni, disabilità, ambiente, pericolo di islamizzazione. Il leader chiude con una frase sibillina. Parla dei giovani. Spiega che lavorerà pancia a terra per i prossimi quattro anni. E assicura che nel 2029 si presenterà al congresso «da militante semplice». Sembra l’annuncio di un passaggio di testimone (saranno 16 anni di segreteria). Ma chi lo conosce lascia Firenze con qualche dubbio.

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