21 Novembre 2024
pedro sanchez

Il re Felipe VI ha conferito l’incarico di formare il governo al leader socialista, che ha iniziato i colloqui con le forze politiche per cercare di ottenere la maggioranza. I dubbi sulla Catalogna rimangono, con Esquerra Republicana de Catalunya (ERC) che non ha ancora deciso se sostenere il governo

Tocca a Pedro Sanchez, il leader socialista ha ricevuto da Felipe VI l’incarico per formare un nuovo governo. Dopo il fallimento del conservatore Alberto Nunez Feijoo sarà Sanchez a cercare di mettere insieme una maggioranza credibile in un Parlamento fortemente frammentato. Ma ai socialisti di Sanchez per governare non bastano i voti di Sumar, l’alleanza che ha raccolto anche l’eredità di Podemos: sono necessari i seggi conquistati al Congresso e al Senato dai partiti nazionalisti regionali, delle Canarie, della Navarra, dei Paesi Baschi, e anche degli indipendentisti della Catalogna.

Trattativa con i catalani ma «nella Costituzione»
Con le forze indipendentiste catalane la trattativa è avviata da tempo: ma la Sinistra repubblicana e soprattutto Junts per Catalunya chiedono l’amnistia per gli esponenti catalani condannati dopo il tentativo di secessione del 2017 e vorrebbero anche il via libera per organizzare un nuovo referendum sull’indipendenza.
«Faremo tutto sempre all’interno della Costituzione, ci saranno trattative trasparenti», ha detto Sanchez, al termine del suo colloquio con il re, senza mai pronunciare la parola amnistia. «Il negoziato – ha aggiunto – non sarà facile, spero in tempi brevi, ma non ho una data ma faremo sul serio». Il leader socialista ha tempo fino al 27 novembre per trovare una maggioranza in Parlamento, se non ce la dovesse fare, la Spagna tornerà a votare il 14 gennaio.
«Non c’è alternativa a Pedro Sanchez, o meglio per la Spagna l’unica alternativa a un governo di sinistra sono le elezioni, ma chi vuole tornare di nuovo al voto in questo momento?». Un esponente socialista di lungo corso, considerato da molti un nemico dell’attuale leader dentro al partito, riassume così l’impasse nella quale è finita, di nuovo, la politica spagnola: «È una situazione strana, anomala per chi ci vede da fuori, ma – dice – è più o meno la stessa situazione che abbiamo già vissuto nel 2019: per due volte abbiamo dovuto votare e alla fine lo stesso Sanchez è riuscito a mettere in piedi una maggioranza, per pochi seggi, e a governare per quasi un’intera legislatura».
Non vuole che si faccia il suo nome: «Perché? Perché è tutto ancora in movimento, non si sa mai, sono cose che da giorni si dicono nei palazzi di Madrid», spiega, per poi dare anche le percentuali, come un bookmaker della politica: «Un governo Sanchez ha almeno il 60% di probabilità di nascere, il ricorso a nuove elezioni non ne ha più del 40%, ma tutto dipende dagli indipendentisti catalani, come sappiamo, e quindi tutto è imprevedibile».

Il fallimento dei popolari e di Vox
Ad aprire la strada a Sanchez è stato il fallimento di Alberto Nunez Feijoo: il leader dei popolari, pur avendo vinto le elezioni dello scorso 23 luglio, portando il Partito popolare davanti a tutti, non è riuscito a trovare i voti in Parlamento per formare una maggioranza. Il governo delle destre, prospettato da Feijoo assieme ai nazionalisti xenofobi di Vox, si è dissolto ancora prima di nascere di fronte all’impossibilità di fare alleanze con altri schieramenti.
L’unica possibilità rimasta è dunque un nuovo governo (di coalizione e di minoranza) delle sinistre. «È il tempo della politica e della generosità», ha detto Sanchez, dopo avere ricevuto l’incarico di governo. Quanto alla questione catalana Sanchez ha parlato della necessità di avere una società che sia «più coesa» e che qualsiasi decisione eventuale su un’amnistia per chi è coinvolto nei processi per il referendum per l’indipendenza della Catalogna organizzato nel 2017 e giudicato illegale dallo Stato spagnolo verrà presa «nel rispetto della Costituzione»

Le richieste dei catalani: amnistia e referendum
Se la trattativa tra Sanchez e i nazionalisti catalani porterà a qualche risultato si saprà solo nelle prossime settimane: ancora una volta la Sinistra repubblicana sembra più disposta al dialogo rispetto a Junts per Catalunya, il partito guidato da Carles Puigdemont, l’ex presidente della Catalogna fuggito in Belgio nel 2017 per non finire in prigione con l’accusa di sedizione.
Fonti vicine ai negoziati dicono che Sanchez è «fiducioso e ottimista» nonostante i rischi altissimi: i nazionalisti catalani infatti, in cambio del loro sostegno al governo, chiedono l’amnistia per più di mille esponenti dei partiti e dei movimenti catalani, condannati per avere sostenuto la separazione dallo Stato spagnolo. Puigdemont, in testa alla lista dei possibili amnistiati, vorrebbe inoltre contrattare la possibilità di arrivare a organizzare un altro referendum sull’indipendenza della regione.
Sanchez potrebbe vincere un’altra scommessa, dopo che nella sua parabola politica, con una serie di mosse a sorpresa e spregiudicate, è riuscito a conquistare la leadership socialista, a sfiduciare il governo del popolare Mariano Rajoy, e a portare il Paese al voto ripetutamente per poi governare in minoranza nell’ultima legislatura. La Spagna potrebbe tuttavia aver davanti una fase non facile, con quattro anni di un governo Sanchez sostenuto da una maggioranza risicatissima, legata agli accordi che si stanno cercando con i partiti catalani su questioni controverse come l’autodeterminazione e l’indipendenza che da decenni dividono gli elettori in Catalogna e in tutta la Spagna: ci sono dubbi giuridici sulla legge di amnistia, e i popolari di Feijoo hanno già accusato Sanchez di «cercare il potere ad ogni costo mettendo a repentaglio lo Stato di diritto».

I dubbi e l’appello a tutte le forze politiche
Gli stessi socialisti catalani hanno già anticipato di essere contrari a un nuovo referendum: «Autorizzare in Catalogna una nuova consultazione elettorale sulla secessione dalla Spagna costituirebbe un immenso errore, una mossa che non rispetterebbe la pluralità della società catalana», ha detto Salvador Illa, capo dei socialisti catalani, pur riconoscendo «i risultati ottenuti da Sanchez in questi anni» attraverso il dialogo con Barcellona.
«Chi difende l’unità del Paese è contro il conflitto politico, è per la convivenza. Bisogna riavvicinare i catalani al resto della Spagna. Questa è l’ora dell’impegno, della generosità e della politica per creare un governo stabile: lancio un appello a tutte le forze politiche», ha detto Sanchez. L’alternativa per la Spagna sono nuove elezioni a gennaio.

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