Fonte: La Stampa
di Francesco Olivo
I socialisti: «Esecutivo di minoranza». Pressioni di banche e imprese per l’intesa con Ciudadanos
Pedro Sanchez ha vinto e ora tenta di stravincere: «Vogliamo governare da soli». Sono le otto e mezza del mattino, i segni della notte di festa sono evidenti, nessuno ha dormito più di due ore. Eppure i socialisti hanno l’energia per partire all’attacco. La vicepremier Carmen Calvo azzarda: «Se abbiamo governato con 85 deputati, figuriamoci con 123».
Il piano prevede di farsi dare il via libera dal parlamento da Podemos e da una serie di partiti regionalisti e portare avanti un esecutivo che cerchi gli appoggi in aula «provvedimento per provvedimento». Sanchez lo ha già fatto in questi nove mesi, ma da una posizione di estrema debolezza, «ora sarebbe diverso», spiegano i suoi. Persino i catalani sembrano non porre molti problemi, basta un’astensione di un solo deputato e il governo può nascere.
Podemos non ci sta, vuole entrare in un esecutivo progressista, ma il magro risultato elettorale indebolisce la sua trattativa. Dall’altra parte c’è un vasto mondo che spinge Sanchez ad abbandonare gli indignados per un governo con i liberali di destra di Ciudadanos. In ogni caso, nulla di definitivo si deciderà prima della fine di maggio, visto che il 26 si torna a votare per i comuni e molte regioni (oltre alle Europee). I primi segnali arriveranno il 21, quando si inaugurerà una legislatura che già batte un record: mai così tante deputate, 164 (su 350).
Le alternative
Le opzioni in campo sono tre: un governo di minoranza del Psoe, una coalizione con Podemos o un patto con Ciudadanos. Il popolo socialista ha dato la linea, intonando un coro: «Con Rivera no!». Rivera sarebbe Albert, capo di Ciudadanos, che ha condotto una campagna elettorale tutta rivolta contro il partito socialista, definito di fatto un partito non costituzionale, per aver dialogato con gli indipendentisti catalani. Sanchez, un po’ stupito dal ritornello dei suoi militanti, li ha fermati sorridendo: «Direi che siete stati abbastanza chiari». Ma è lo stesso Rivera a tirarsi fuori, almeno per ora: «Vogliamo guidare l’opposizione». Eppure sono in tanti a spingere per questa opzione, considerata più affidabile: gli imprenditori, le banche e i vecchi colonnelli del partito, misteriosamente silenziosi in queste ore. Nella sede della calle Ferraz ne sono certi, le pressioni diventeranno sempre più forti nelle prossime settimane. Segretamente si muovono in tanti, qualcuno esce anche allo scoperto: «I mercati apprezzerebbero un governo di centrosinistra», scrive il Banco Santander in un documento. Stessa linea della Ceoe, l’associazione degli industriali: «Gli estremisti non ci piacciono», ha spiegato il presidente Antonio Garamendi.
Le «svolta moderata»
Per «estremisti» si intende Podemos che sogna il governo. Il leader Pablo Iglesias ha approfittato della telefonata di cortesia di domenica notte per avanzare la proposta al premier. «Lui cos’ha risposto?» gli hanno chiesto i cronisti. «Chiedetelo a lui», la risposta criptica. La notizia è che Podemos è nel pieno di una svolta moderata. Iglesias ha abbandonato le intemerate più radicali, cita la costituzione e avverte i cittadini: «Servirà pazienza e discrezione». Un’evoluzione politica e umana di un leader che conosce la materia (la insegna all’università), ma forse anche una strategia per abbassare la tensione in un momento chiave.
Le pressioni arrivano da tutte le parti. Ma per Sanchez non è la prima volta. Nel 2016, pur di non far governare Rajoy, il segretario andò incontro a quella che sembrava la sua morte politica. «No es no», era il suo slogan. Fu cacciato dal Psoe e dovette ricominciare da capo. Prima però si sfogò in tv: «Mi hanno fatto pressioni di tutti i tipi». Fece nomi e cognomi.: manager, imprenditori, banchieri e gruppi editoriali. Stavolta però Pedro ha dietro di sé 7,5 milioni di spagnoli.