24 Novembre 2024
EDITORIALI
di Enrico Marro
Fonte: Corriere della Sera

Il Def che Renzi varerà sarà diverso dai precedenti solo se

conterrà un credibile percorso pluriennale di tagli strutturali della spesa pubblica

 

In queste ore alla presidenza del Consiglio e al ministero dell’Economia si stanno facendo le ultime verifiche sul testo del Def, il Documento di economia e finanza che domani verrà approvato dal governo, il piano triennale che, nelle intenzioni di Matteo Renzi, dovrà conciliare il rilancio della crescita con il rispetto del percorso di risanamento dei conti pubblici («non perché ce lo chiede l’Europa, ma per i nostri figli»).

Al centro della manovra per il 2014 ci sarà il taglio, da maggio, delle tasse di 80 euro al mese per i lavoratori dipendenti che guadagnano fino a 1.500 euro netti, ha promesso lo stesso presidente del Consiglio, per un costo su base annua di 10 miliardi. Per il periodo maggio-dicembre il governo deve quindi trovare 6,6 miliardi per finanziare lo sgravio Irpef. Le coperture ci sono tutte e verranno dai tagli di spesa, assicura Renzi. La credibilità dell’operazione bonus in busta paga si misurerà, in Italia e in Europa, proprio su questo, cioè su quanta parte delle risorse necessarie a far salire gli stipendi medio-bassi verrà da riduzioni permanenti della spesa pubblica.

 

Il presidente e il titolare dell’Economia Pier Carlo Padoan dovranno saper respingere i veti dei ministri. Non ci possono essere capitoli di spesa esclusi a priori, nemmeno la Sanità, dove gli sprechi sono doppiamente gravi, perché tolgono risorse preziose che potrebbero essere impiegate per migliorare un servizio fondamentale che, in tante parti d’Italia, è a livelli ancora inaccettabili.
È vero, il ministro della Sanità è impegnato in una trattativa con le Regioni per un nuovo Patto per la Salute che faccia risparmiare «dieci miliardi di euro in tre, quattro anni» da investire, spiega Beatrice Lorenzin, nello stesso settore «in infrastrutture, ricerca, personale e accesso alle cure più innovative». Non è un risultato scontato, visto che anche in questa materia lo Stato, a causa del Titolo V della Costituzione, deve scendere a patti col sistema delle autonomie, ma è il minimo che si possa fare. Secondo il rapporto del commissario per la revisione della spesa, Carlo Cottarelli, l’incidenza della spesa sanitaria pubblica sul Prodotto interno lordo è salita dal 5,7% del 2000 al 7,1% del 2013. Dal 2009 le uscite non crescono più, essendosi fermate intorno a 111 miliardi di euro l’anno, ma il peso sul Pil, dice il commissario, deve scendere se l’Italia vuole riuscire a ridurre le tasse. Si può fare, a partire dall’applicazione di criteri uniformi negli acquisti (costi standard), dalla famigerata siringa agli appalti più importanti. E invece, proprio a causa della gestione inefficiente della Sanità, metà delle Regioni sono commissariate, col risultato che i cittadini pagano pesanti addizionali Irpef per coprire i buchi di bilancio. Il tutto mentre il 50% degli assistiti e il 70% delle ricette sono esenti dal pagamento del ticket, con punte dell’86% nel Sud. Uno spreco inaccettabile ai danni degli onesti: prestazioni regalate agli evasori mentre c’è chi non ha i soldi per andare dal dentista.

Il Def che Renzi varerà domani sarà diverso dai precedenti solo se conterrà un credibile percorso pluriennale di tagli strutturali della spesa pubblica, come premessa di altrettanti tagli permanenti delle tasse. Non ci possono più essere zone franche. È stato lo stesso Renzi a dirlo, ponendo giustamente anche il tema delle spese militari. Sanità e pensioni sono i principali capitoli di spesa del bilancio. Tutti sappiamo che contengono ampie sacche di spreco. Adesso vanno rimosse.

 

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