Fonte: Corriere della Sera
di Gian Antonio Stella
Per decenni il settore, che assorbe oltre metà del bilancio regionale, è stato regolarmente saccheggiato. E adesso si è arrivati ai tre commissari saltati in pochi giorni
Sotto la poltrona del Superman sanitario calabrese deve esserci un po’ di kryptonite. Dopo Saverio Cotticelli caduto in diretta tivù («Come: l’emergenza Covid tocca a me?») e Giuseppe Zuccatelli fatto fuori dal video galeotto («Le mascherine non servono un …»), è saltato il terzo, l’ex rettore della Sapienza (un po’ inquisito) Eugenio Gaudio: «Mia moglie non vorrebbe trasferirsi a Catanzaro». Finché da una nuvoletta, con la Protezione civile, è sbucato Gino Strada. Una sfida temeraria, forse, per il medico milanese fondatore di Emergency. Alle prese con una terra non meno complicata (e a rischio) di quella afghana.
Ma per capire quanto sia fradicio il sistema, occorre tornare indietro. E ripartire da una intercettazione in cui qualche anno fa l’allora potentissimo Satrapo della sanità calabrese, Domenico Crea detto Mimmo, spiegava come va il mondo (il «suo» mondo) a un collaboratore che aspirava a essere eletto al Consiglio regionale: «Ma quando tu hai me, cretino, che vuoi fare? Ti prendi 10.000 euro di consigliere? E che minchia sono?». Spiccioli erano, per lui, a confronto dei soldi veri. «Senti quello che ti dice Mimmo». E spiegava che gli amici che aveva avuto intorno, armeggiando sulla Sanità, erano «tutti miliardari. Il più fesso di loro è miliardario… E ti ho detto tutto…».
Diceva tutto sì, quella vanteria. Per decenni, infatti, quel settore che assorbe 3,7 miliardi dei 7 dell’intero bilancio regionale, è stato sistematicamente saccheggiato con gestioni scellerate che gridano vendetta a Dio. Fino a far saltare, una dozzina di anni fa, tutti i conti. Al punto che ieri mattina, in una audizione alla Camera, il professore Ettore Jorio, docente all’Ateneo di Reggio e collaboratore del Sole 24 Ore, ha ricordato di essere stato l’ultimo incaricato di fare una ricognizione sui debiti al 31 dicembre 2008. Quando il deficit patrimoniale era a un miliardo e 792 milioni di euro. E adesso? Boh…
Nonostante gli «incomprensibili e inauditi 15 milioni di euro messi verosimilmente a disposizione degli advisor» questi non hanno «mai perfezionato in quasi un decennio» la certificazione dovuta «tanto da registrare ad oggi bilanci incerti, quando va bene, ovvero mai adottati». Un calcolo «spannometrico»? Non è possibile rispondere, dice Ettore Jorio: «Credo però che se la sola Asp reggina è sotto di un miliardo, come dicono varie denunce, è plausibile che la Regione sia sotto di due e mezzo. Se non di più». E il piano di rientro? Ciao.
Non basta: i ritardi nei pagamenti ai fornitori da parte delle aziende del Servizio sanitario regionale, dice il monitoraggio interministeriale di ottobre, «sono saliti a oltre 800 giorni». I rischi, ha spiegato il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri a Carlo Piano de La Stampa, sono gravi: «Quando la stretta creditizia aumenta, gli usurai vanno a nozze. In momenti così è facile sostituirsi alle banche, rilevare aziende in crisi, investire il denaro della droga». Del resto, insiste il magistrato nel saggio «Ossigeno illegale» scritto con Antonio Nicaso, le mafie hanno «da tempo messo le mani anche su importanti risorse della sanità pubblica. Ha fatto il giro del mondo, per esempio, la notizia pubblicata dal Financial Times secondo cui alcuni privati, nell’impossibilità di farsi liquidare da aziende sanitarie pubbliche calabresi, avrebbero venduto i loro crediti a banche e società estere. Secondo il quotidiano britannico, i titoli venduti a investitori internazionali tra il 2015 e il 2019 ammonterebbero a circa un miliardo di euro. In un caso, i titoli commerciali e le obbligazioni legate ad aziende sospettate di avere legami con la ’ndrangheta sarebbero stati acquistati da una delle banche private più importanti d’Europa».
Non è solo un problema economico. Ma più ancora sanitario, politico, morale. Un’emergenza con cui l’Italia («Ma è la Calabria!», chiudono il discorso da decenni troppi leader allargando le braccia come dessero ogni partita per persa) non ha mai fatto davvero i conti. «La ’ndrangheta mette in fuga anche i medici. Otto posti da primario presso l’Unità sanitaria di Locri non si riescono a coprire per l’impossibilità di trovare docenti disposti a far parte delle commissioni», scriveva Carlo Macrì nel 1990. Sono passati trent’anni. E tutta la regione patisce la mancanza di medici, tecnici, infermieri… Come prima, peggio di prima. E ogni vuoto d’organico, ogni reparto abbandonato al degrado, ogni macchinario comprato vent’anni fa e ancora incellofanato accende la collera contro gli sprechi di un tempo. E di oggi.
A partire dall’ospedale di Pizzo, mai aperto dopo oltre mezzo secolo di lavori, dove dei pazzi misero gli ascensori della sala chirurgica a un metro dalla parete (gli operati avrebbero dovuto uscire in piedi, per sdraiarsi poi nella barella) e si spinsero a comprare montagne di sandali sanitari col tacco alto prima di assumere una sola infermiera. O dai sette-nosocomi-sette della piana di Gioia Tauro destinati negli anni 90 a essere soppressi per dare vita a un unico grande ospedale moderno. Risultato: oggi quello di Taurianova dove dominava il discusso Francesco Macrì detto «don Ciccio Mazzetta» (venerato dai clientes per avere «creato una generazione benestante di famiglie spesso a doppio reddito e ora a doppia pensione») è quasi tutto chiuso, quello di Oppido Mamertina ospita una ventina di vecchi, quello di Rosarno (allora nuovo di zecca) è uno scheletro mai aperto, quello di Cittanova ha un reparto di riabilitazione, quello di Gioia Tauro (dove si scordarono del riscaldamento e fecero la sala operatoria senza manco l’acqua calda) conta solo su due o tre reparti e quello di Polistena, l’unico che davvero si fa carico di tanti servizi e ha 107 posti letto, è ridotto negli organici al punto che su dodici anestesisti previsti quello in servizio oggi è uno solo. E l’ospedale nuovo? Mai visto.
Un disastro. Che pesa sui calabresi spingendoli ancor più d’una volta ad andarsi a curare nel resto d’Italia. Spendendo una cifra assurda, 310 milioni di euro. Ovvio. Nonostante esistano qua e là eccellenze formidabili, isolati reparti non inferiori a quelli altoatesini, centri di ricerca con giovani straordinari, sale operatorie dove svettano chirurghi bravissimi, troppi cittadini sono stati via via demoralizzati dalla sciatteria della classe politica locale e dalla colpevole lontananza, quand’anche avesse avuto un po’ di buona volontà, di quella nazionale. E la girandola dei commissari della sanità di questi ultimi giorni la dice lunga su quanto una svolta radicale sia sempre più obbligatoria.