La scelta senza avvisare nessuno: se si fosse votato la leader sarebbe finita in minoranza. Cuperlo a Schlein: «Senza nome la tua guida è più autorevole»
Scendere a patti con le correnti per una come Elly Schlein è quasi un calvario. Quindi, quando si accinge a farlo, la segretaria dem decide di lasciarsi comunque una porta aperta. I maggiorenti del Pd non vogliono. “Schlein: «Mi candido ma rimarrò qui per combattere Meloni»” che si candidi in tutte le circoscrizioni? Prodi, che alle primarie non l’ha votata e le ha preferito Bonaccini, le ingiunge di non candidarsi affatto e la critica perché non ascolta i suoi consigli? Ebbene la segretaria cerca di scartare e di mettere il suo nome accanto al simbolo, anche a costo di finire in minoranza nel suo partito.
Solo che Schlein decide di intraprendere questa strada senza avvertire nessuno. O quasi. Lo dice a Bonaccini. Di più, con un’abile mossa invita il presidente pd a proporre lui la novità. Per il resto, silenzio. Quando Prodi viene a saperlo si attacca al telefono e chiama i maggiorenti dem a lui più vicini: «Con quale faccia ci batteremo contro il premierato se Elly mette il suo nome nel simbolo alle Europee?». E quando nella segreteria che precede la Direzione la proposta viene illustrata, Debora Serracchiani si dice contraria, mentre Peppe Provenzano e Marco Sarracino si inalberano.
I tre esponenti della segreteria non erano stati avvertiti prima. Al contrario di Bonaccini, a cui Schlein aveva spiegato i suoi intenti: «È un modo per ottenere consensi con il mio nome, non è altro». Anche Dario Franceschini non ne sa nulla e la mattina, quando si avvia la Direzione, non nasconde affatto il suo disappunto: «Cos’è questa storia di Elly nel simbolo? Ma vi rendete conto a quali rischi andate incontro?».
Comincia la riunione e la notizia si è sparsa, poi Bonacccini la conferma sul palco. Le resistenze aumentano. Le perplessità si moltiplicano. Graziano Delrio è contrario e lo sono anche Cesare Damiano, Susanna Camusso, Laura Boldrini, Annamaria Furlan, Walter Verini, Piero Fassino Marco Meloni, Roberto Speranza. «Elly, tu non sei Meloni, Salvini, non sei Tajani, non sei Renzi, Calenda. Sei meglio di loro e vieni da una cultura diversa», le dicono. «La tua guida è più autorevole e forte senza quella scelta», le obietta Gianni Cuperlo. Le chat dei parlamentari pd vanno in tilt. Anche chi le è vicino, nutre dubbi.
Le contestazioni finiscono per coinvolgere pure Bonaccini: «Se vuoi trasformare il Pd in un partito all’americana non puoi dirlo il giorno della presentazione delle liste. Devi fare una discussione interna. Perché così Elly rischia di fare del male ai suoi stessi candidati». Ma Schlein, che pragmaticamente ha accettato certi compromessi con le sue minoranze, non demorde.
«Le liste — spiega a chi la critica — concedono molto ai candidati delle diverse componenti del partito». Come a dire, uno sforzo l’ho fatto anche io, ora tocca agli altri. In effetti a scorrere le liste per le Europee si nota che è particolarmente rafforzata la minoranza di Bonaccini. Vincenzo De Luca interviene in direzione con un discorso schleiniano. È il segnale che la leader del Pd non ha trascurato nemmeno i «cacicchi». E infatti Lello Topo, più che controverso esponente dei dem napoletani, sponsorizzato dal governatore della Campania, è in lista. E probabilmente soffierà il posto a Strasburgo al fedelissimo della segretaria Sandro Ruotolo.
Ecco, Schlein è stata ai patti con Bonaccini, ora vuole reciprocità. Però la richiesta sul simbolo non si vota sennò la segretaria finirebbe in minoranza. Nel frattempo i suoi oppositori incalzano anche dall’esterno: «Non costruite polemiche personalistiche contro Schlein — dice Conte — ma il problema è di coloro che accettano di scrivere nominativi che non andranno in Parlamento. Condivido Prodi quando dice che è una ferita per la democrazia». Schlein replica ad avversari interni ed esterni con un «ci rifletterò». Ma non è tipo da arrendersi. O il nome sul simbolo o un altro posto da capolista.