22 Novembre 2024

Fonte: La Repubblica

di Ilario Lombardo

Il timore è la resistenza dei falchi dell’Unione, ma il premier si aspetta maggiore solidarietà

Il linguaggio diplomatico può essere miracoloso. La stessa definizione, «un buon punto di partenza», può significare due cose, come spiegano a Palazzo Chigi: che l’accordo franco-tedesco è la base di una trattativa che è ancora ostica, ma anche che sarebbe un ottimo risultato se venisse confermato. Mancano ancora due passaggi formali e decisivi: la presidente Ursula Von der Leyen deve trasformare nella proposta ufficiale della Commissione Ue il compromesso trovato da Emmanuel Macron e Angela Merkel, e il Consiglio europeo di metà giugno non deve farla naufragare. Perché, ragiona il premier Giuseppe Conte, se, fatti due conti, all’Italia, in quanto Paese più colpito dall’emergenza Covid 19, dovessero arrivare 100 miliardi non in forma di prestiti, «sarebbe un grande traguardo» che potrebbe mettere il governo nella condizione di non ricorrere al Meccanismo europeo di stabilità (Mes). Restare su una formula trattenuta, in un comunicato che certifica la soddisfazione della presidenza del Consiglio per 500 miliardi in totale «di soli trasferimenti», – «una dotazione di sussidi che si avvicina a quanto richiesto dall’Italia e da altri Paesi» – serve in chiave tattica a contrastare gli assalti già partiti dal fronte opposto europeo, quello dei falchi del rigore. Ottimi negoziatori come gli austriaci di Sebastian Kurz che ha già messo in chiaro che non ha nessuna intenzione di andare oltre i prestiti.
Ecco perché a Palazzo Chigi parlano della proposta come «condizione necessaria ma non sufficiente». Temono le resistenze dei nordici e il rischio di veder saltare tutto. Anche perché raccontano che venerdì le cose si stavano mettendo male: nelle ipotesi che circolavano pesavano ancora 300 miliardi di prestiti e i sussidi erano fermi a poco più di 200 miliardi. Il ringraziamento esplicito alla Germania è un riconoscimento alla azione di contenimento di Merkel sugli alleati più rigidi. Sottolineare che i soldi saranno destinati alle aree «più colpite» è un assist che fa sperare Conte: sarebbero circa 100 miliardi che non intaccherebbero di un euro lo stock del debito. Certo, in cambio si chiedono conti in ordine e riforme serie. «Ma la Commissione Ue – avverte – non deve scendere al di sotto».
Allo stesso modo, il premier è costretto a trovare parole di equilibrio per spegnere il fuoco amico in Italia, soprattutto tra i 5 Stelle più sospettosi che vogliono allontanare l’incubo del ricorso al Mes. L’impatto della notizia sui giallorossi è asimmetrico. D’istinto anche vicino al premier c’è chi sostiene che i 500 miliardi sono metà di quanto chiesto dall’Italia. Un documento del ministero dell’Economia ricorda che la richiesta del Tesoro era di mille miliardi, dei quali il 70 per cento di sussidi, i cosiddetti “grants”, soldi cioè a fondo perduto, e il 30 per cento di prestiti, dunque 300 miliardi in cosiddetti “loans”. Nel M5S la reazione è confusa. In chat il vicepresidente dell’Europarlamento, Fabio Massimo Castaldo, è deluso: «Vergogna», scrive di getto. Qualcuno poi gli fa notare che quella cifra messa sul tavolo sarebbero trasferimenti puri. Il ministro degli Esteri Di Maio si attacca al telefono e si confronta in videoconferenza con il collega agli Affari Ue Enzo Amendola. Il ministro del Pd consiglia di muoversi con cautela per non guastare il negoziato. Ricordare che si puntava a mille miliardi non aiuterebbe, l’Italia finirebbe in un angolo da sola in un momento di grandi slanci. Leggere la presidente della Bce Christine Lagarde dire che il «Patto di stabilità va rivisto prima che entri in vigore» fa incrociare le dita anche ai grillini. «Anche sentire la disponibilità di Merkel e Macron a rivedere i trattati – spiega il presidente della Commissione Affari Ue Sergio Battelli – è molto importante. Riaprirli vorrebbe dire che possiamo rifondare l’Europa».

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