Fonte: la Stampa
di Antonello Guerrera
Iquattro piani che non hanno avuto la maggioranza sperata dalle opposizioni sono stati: la permanenza di Londra post Brexit nell’unione doganale, quello per l’appartenenza al mercato unico, la richiesta di un secondo referendum e un ulteriore rinvio Brexit per evitare il No Deal
L’agonia del Regno Unito nel labirinto della Brexit continua. Per la seconda volta in pochi giorni il Parlamento non si è accordato su alcun piano alternativo a quello di Theresa May per l’uscita dall’Ue. Tutti gli “indicative votes”, ossia le votazioni di soluzioni alternative presentate dai singoli deputati, sono stati affossati anche questa sera. Stavolta i quattro piani che non hanno avuto la maggioranza sperata dalle opposizioni sono stati: la permanenza di Londra post Brexit nell’unione doganale, quello per l’appartenenza addirittura al mercato unico (stile Norvegia, proposto dal parlamentare Nick Boles che si è dimesso dal partito a suo dire “incapace di compromessi”), la richiesta di un secondo referendum su qualsiasi piano approvi il Parlamento e un ulteriore rinvio Brexit per evitare il No Deal. Un prossimo tentativo per gli “indicative votes” è previsto per mercoledì prossimo.
È un sospiro di sollievo per i brexiter e per la premier, che l’ha scampata ancora una volta: gli “indicative votes” non sono vincolanti, ma May non avrebbe potuto ignorare l’indicazione di un Parlamento se questo per la prima volta avesse sostenuto a maggioranza un piano alternativo sulla Brexit. Ma è comunque un sollievo che dura poco. Ora che cosa farà Theresa May? Domani, martedì, la premier terrà un consiglio dei ministri fiume: cinque ore invece delle solite due/tre, un inedito. May e l’esecutivo dovranno decidere come rispondere allo stallo sempre più profondo. Il partito conservatore rimarrà unito per un altro po’ di tempo, ma il tempo stringe perché entro il 12 aprile, anzi il 10 (data del Consiglio europeo straordinario) Londra deve decidere cosa fare: chiedere un ulteriore rinvio (che l’Ue concederebbe solo in cambio di nuove elezioni o un secondo referendum), uscire con il pericolosissimo No Deal (cioè senza accordo, con conseguenze probabilmente pesanti per l’economia e per il confine irlandese) oppure nel frattempo farsi approvare dalla Camera dei Comuni il tormentato accordo di May e Ue sulla Brexit, piano che dovrebbe tornare alla carica in questi giorni in aula come ha detto a caldo il ministro per la Brexit, Steve Barclay.
Il problema è che gli (ex?) alleati unionisti nordirlandesi e una ventina di ribelli conservatori sono irriducibili e non cambieranno idea sull’accordo della premier. Per questo un No Deal (la pericolosa uscita dall’Ue senza accordo dopo il 12 aprile), seppur “controllato”, è più probabile, anche perché le elezioni europee (automatiche in caso di un ulteriore rinvio lungo) non le vuole proprio nessuno. Gira voce a Westminster che sarebbero almeno 200 deputati conservatori e oltre metà governo May tentati da questa soluzione estrema: tagliare il nodo e via, verso lo strapiombo del No Deal. L’Europa già minaccia: così il conto da pagare sarà di 10 miliardi. Intanto, ieri una decina di attivisti del gruppo radicale ambientalista Extinction Rebellion si sono spogliati alla Camera e si sono incollati ai vetri contro il cambiamento climatico. Anche questo non si era mai visto prima a Londra.