La nuova raffica di critiche da Roma ha raggiunto Paolo Gentiloni ieri mattina agli imbarchi del volo verso Nuova Delhi, per il vertice del G20. Sono giornate dense del resto, per il governo di Roma e per il commissario europeo all’Economia. Lunedì Gentiloni sarà di ritorno a Bruxelles per presentare le previsioni economiche di autunno della Commissione Ue: le più difficili dalla recessione pandemica, anche per l’Italia. Pochi giorni dopo poi l’ex premier del Partito democratico andrà a Santiago de Compostela, nel Nord-Ovest della Spagna, per un altro appuntamento durante il quale il governo di Roma si gioca molto: all’incontro «informale» fra ministri finanziari e leader delle banche centrali, si negozia sul nuovo patto di Stabilità e sui prossimi presidenti della Banca europea degli investimenti e del Consiglio di sorveglianza della Banca centrale europea. Si devono decidere i nomi delle donne o uomini che avranno le mani sulle leve di finanziamento della politica industriale europea e della vigilanza bancaria.
L’incontro
Sta dunque per aprirsi una settimana dopo la quale sicuramente non tutto sarà come prima. L’Italia sarà più forte, o più debole. E la settimana si è aperta con una pubblica sventagliata di polemiche dei vicepremier italiani all’indirizzo dell’italiano più influente nell’Unione europea. Matteo Salvini e Antonio Tajani, ai quali si è aggiunta ieri sera la stessa premier Giorgia Meloni, hanno preso di mira Gentiloni. Da Mestre l’altro ieri quest’ultimo aveva già osservato che la fiducia e la collaborazione fra lui e il governo di Roma proseguono «per definizione». Ma il commissario, a maggior ragione in un momento così delicato, non intende andare oltre. Meno di due mesi fa aveva messo in chiaro in un incontro a New York che lui considera qualunque passo avanti per l’Italia un passo avanti per l’Europa. Parlava dell’ultimo accordo con Roma sul Piano di ripresa (Pnrr) ma l’affermazione si poteva generalizzare, quando ha detto: «Fare progressi sul piano italiano vuol dire fare progressi per tutto il sistema europeo». E ancora: «La Commissione lavorerà con il governo per rendere attuabili i programmi del Pnrr».
I nodi del calendario europeo
Se le tensioni sono esplose, tuttavia, è proprio perché i nodi del calendario europeo stanno venendo al pettine. In Italia non solo Salvini, Tajani e Meloni, ma con meno clamore anche il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, sono irritati con Gentiloni per come questi si muoverebbe — a loro avviso — nel negoziato sul patto di Stabilità. Soprattutto su due punti specifici delle nuove regole di bilancio proposte dalla Commissione, che al governo non vanno giù. Il più importante riguarda il passaggio della proposta della Commissione che porta a catalogare i Paesi dell’Unione europea in tre categorie, secondo il livello di rischio valutato a Bruxelles riguardo al loro debito pubblico. L’Italia è furiosamente schierata contro questa clausola — a quanto pare con Francia e Spagna — perché teme di finire formalmente relegata in una sorte di «serie C» dell’affidabilità finanziaria, anche agli occhi degli investitori. Il secondo punto è legato al primo: i Paesi nella categoria più debole sarebbero soggetti a un controllo più stretto e vincolante, ogni anno, dell’attuazione dei piani di riforme e rientro del debito estesi su periodi fra quattro e sette anni.
L’idea di Lisbona
Questo ora è il cuore del negoziato, così delicato che in pubblico se ne parla poco. Secondo il governo italiano, Gentiloni non starebbe aiutando a smontare quella griglia delle tre categorie. Vista dal commissario italiano, naturalmente, la situazione è diversa. La proposta di riforma del patto di Stabilità elaborata dalla Commissione è l’inevitabile frutto di un compromesso fra Gentiloni stesso, il suo collega francese Thierry Breton e il gruppo dei più rigoristi a Bruxelles: la presidente Ursula von der Leyen e il vicepresidente lettone Valdis Dombrovskis, molto vicino a Berlino. Con qualche argomento, Gentiloni è convinto di essere riuscito a spostare il pendolo della proposta di Bruxelles un po’ più verso il polo della flessibilità che verso quello della severità.
La richiesta di Roma
In queste settimane, il commissario italiano sta poi lavorando con discrezione per un’altra richiesta italiana. Il governo di Roma chiede di scomputare dal deficit certi investimenti ritenuti strategici dall’Unione europea, per esempio sulla transizione verde o sulla difesa. O di scomputare dal debito l’impatto dei prestiti del Pnrr, per 120 miliardi. Su questo nessuno segue l’Italia, ma Gentiloni appoggia un’idea simile del ministro delle Finanze portoghese Fernando Medina, che avanza: ritenere certi investimenti, per esempio sulla difesa, «fattori rilevanti» quando Bruxelles cercherà attenuanti per evitare una procedura a un Paese. Certo non è la prima volta che questo governo guarda al lavoro di Gentiloni con irritazione: era successo mesi fa anche con Raffaele Fitto, ministro agli Affari europei, perché riteneva di non avere aiuto sul Pnrr. Vista da Gentiloni, anche allora, la situazione appariva all’esatto contrario. Di certo nessun altro Paese registra attacchi pubblici di questa durezza al proprio connazionale di punta a Bruxelles. E in una settimana di negoziati delicatissimi fra europei, un motivo ci sarà.