Fonte: La Stampa
di Francesca Paci
Seminario alla Luiss con Molinari, Riotta, Fabbrini e Panarari per cercare di capire dove va il mondo arabo. Con l’incognita del nuovo presidente Usa. E una scommessa: le donne
Qual è il ruolo della Turchia in Medioriente? Che eredità hanno lasciato le primavere arabe? Come si sta muovendo l’Europa nel Mediterraneo? I flussi migratori si tradurranno in una chance di crescita o in una calamità per il vecchio continente? Cosa dobbiamo aspettarci dalla prossima presidenza americana relativamente al rapporto con Israele, con le monarchie del Golfo, con l’Iran? Le domande degli studenti della Luiss schierati in Aula Toti per il seminario «Mosaico Mediorientale» bersagliano i relatori, il direttore de La Stampa Maurizio Molinari l’editorialista e condirettore di MACOM Gianni Riotta, il direttoreSergio Fabbrini e Massimiliano Panarari. Sono le domande del millennio, quelle su cui si esercitano gli analisti di mezzo mondo cercando una bussola per le nuove sfide geopolitiche, la fine del nazionalismo arabo, l’offensiva islamista, la frammentazione dei confini disegnati esattamente cento anni fa, il 16 maggio 1916, con gli accordi di Sykes-Picot.
«Che ci piacci a meno una parte del mondo ha dichiarato guerra alla modernità ed è irriducibile: qualsiasi cosa dovessimo realizzare nel prossimo futuro, dalla pace tra israeliani e palestinesi alla trasformazione della Libia in una Svizzera mediterranea, non cambierà l’intenzione bellicosa di chi vuole le resa dei conti ideologica tra il fondatore dei Fratelli Musulmani al Banna e Ataturk (moschee vs caserme, ndr.)», afferma Gianni Riotta nel dare la parola agli studenti. Le strade che vede all’orizzonte di un occidente ancora più confuso dalla a suo parere poco decisa presidenza Obama sono due: «Trovare un equilibrio diplomatico oppure vincere questa guerra».
C’è l’incognita Casa Bianca, il neo protagonismo di Putin nel Medioriente orfano di leadership, ci sono i flussi migratori utilizzati all’occorrenza da chiunque abbia interesse a mettere sotto pressione l’Europa. Maurizio Molinari suggerisce studio e modestia: «La storia accelera sfidando le nostre capacità di comprendere e per evitare di fare scelte sbagliate bisogna fermarsi e rimettere in discussione le conoscenze acquisite nel passato. È probabile per esempio che sia stato un errore deporre Saddam, sebbene fosse un feroce dittatore, perchè ha infiammato lo scontro tra sciiti e sunniti. È probabile che sia stato un errore ritirare le truppe americane dall’Iraq nel 2011 ed è possibile anche che sia stato un errore spingere per l’accordo con l’Iran gonfiando le paure dei sunniti. Tre situazioni nate da intenzioni diverse con tre effetti contrari che suggeriscono tutte la necessità di approcci nuovi. Quando in Medioriente gli interlocutori sono state le tribù solo l’impero ottomano e quello britannico sono riusciti a creare un equilibrio, dando autonomie o disegnando Stati. È quello che in parte fece Petraeus nel 2005 ingaggiando le tribù sunnite e sottraendole all’influenza di al Qaeda. Oggi su uno scenario che si estende per 9 mila km quadrati non c’è alcuna forza esterna capace – per risorse finanziarie e volontà politica – di svolgere il ruolo degli ottomani o dei britannici. Solo Putin, interessato all’accesso ai mari del sud e all’allontanamento del jihad dalla Russia, ha preso l’iniziativa mandando 800 soldati in Siria secondo la logica tutta mediorientale della deterrenza, per cui non è tanto importante la forza che hai quanto la minaccia di esercitarla».
Le faglie mediorientali sono due con mille epicentri sismici, lo scontro generazionale e culturale interno al mondo arabo e quello esterno, geografico, geopolitico. Sul primo l’influenza dell’occidente è minima, secondo Maurizio Molinari: «Non possiamo avere alcun impatto sullo scontro tra modernità e anti modernità interno alla società araba musulmana, è un percorso che tutti i monoteismi hanno affrontato e probabilmente l’islam sta affrontando ora. La maggioranza dei musulmani vuole la modernità ma c’è una minoranza agguerrita e con una certa legittimità religiosa che li tiene in pugno. Io personalmente scommetterei sulle donne, le prime vittime dell’oscurantismo e, dalla Tunisia al Libano, le più motivate e attrezzate al cambiamento».
C’è ancora tanto in ballo. Le primavere arabe? «Sono state lo sviluppo naturale di una insoddisfazione popolare che per esempio al Cairo vede un terzo della popolazione abitare in case senza servizi igienici. Hanno portato effetti positivi come la Costituzione tunisina che punta sul diritto alla cittadinanza e non su quello in base alla religione e che ha fatto scuola in Marocco e in Egitto, ma resta lo scontro in corso tra modernisti e anti modernisti». Il rapporto tra Usa e Israele? «La divergenza dell’America con Israele è stata strategica, perché Obama voleva che l’Iran diventasse un partner regionale e una forza di stabilizzazione. Il risultato è che Israele si è rivolto ai sunniti anche perchè avendo combattuto tutte le sue guerre contro di loro spera che la condizione di debolezza li porti a un accordo. Cosa cambierà con il prossimo presidente? Nessuno lo sa ma l’America dovrà ricostruire il suo potere di deterrenza in Medioriente perchè lì nessuno li teme più e per ricrearsi una credibilità deve ripartire dal Cairo».
Racconta Molinari che era in Giordania quando Putin mandò le sue truppe contro l’Ucraina e la reazione degli interlocutori giordani fu tranchant: «Mi dissero che Putin difendeva i suoi alleati come invece Obama non aveva fatto a suo tempo nel caso dell’Egitto di Mubarak». Oggi Putin è molto popolare nel mondo arabo, anche in quello sunnita che lo vede come un sponsor degli sciiti. Gli studenti ascoltano, prendono appunti sul tablet, domani è un altro giorno e per capire dove vada a parare bisogna rimboccarsi le maniche.