22 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Alessandro Tocino

Con lui 18-20 deputati e 10 senatori. Il senatore ha telefonato al presidente del Consiglio Conte per rassicurarlo: «Noi ti sosteniamo»


Il D-day è previsto per oggi. Matteo Renzi annuncerà ufficialmente l’addio al Pd, con la formazione di gruppi separati e l’avvio del processo che lo porterebbe alla creazione di un nuovo partito centrista, in competizione con il Pd, ma non in contrapposizione. Un’operazione a lungo rinviata, che rischia di creare più di una preoccupazione a un governo appena nato e molto fragile. Tanto che Renzi ieri sera ha fatto una telefonata di «rassicurazione» al premier Giuseppe Conte: «Vado via dal Pd, ma il sostegno al governo rimane convinto».
L’appuntamento ufficiale è alla «terza Camera» del Parlamento, da Bruno Vespa. Qui Renzi dovrebbe pronunciare la frase fatidica: «Lascio il Pd, c’è spazio per una cosa nuova». Con alcuni parlamentari si è espresso con molti meno riguardi. A un deputato che voleva trattenerlo ha spiegato: «Non posso più stare insieme ai miei carnefici. E state attenti: vedrete che useranno il lanciafiamme anche con voi». Per tutta la giornata ci sono state trattative frenetiche su due fronti: da quello renziano, per convincere i parlamentari a partire, da quello zingarettiano per convincerli a rimanere. Su alcune chat sono circolati, ironicamente, i simboli dell’Api, con la scritta, rivolta ai renziani: «Farete la fine di Rutelli».
Allo stato, sarebbero in uscita 18-20 deputati (sui 111 del Pd). Dal misto potrebbe arrivare Catello Vitiello, ex M5S. Per creare un gruppo autonomo alla Camera ne servono 20. Per l’incarico di capogruppo il nome più probabile è quello di Luigi Marattin. Molto più complessa la situazione al Senato. Qui non si possono creare gruppi autonomi, perché il regolamento li vieta se non coincidono con un simbolo presentato alle elezioni. Dal gruppo dem sarebbero in partenza una decina di senatori (su 51): Renzi, Bonifazi, Comencini, Marino, Faraone, Ginetti, Cerno, Laus, Grimani e Bellanova. Dovrebbe restare al suo posto il renziano Andrea Marcucci, che è capogruppo. Perché? Marcucci non si è unito al coro di chiedeva a Renzi di restare, ma ha detto che vuole rimanere. L’impressione è che presto o tardi se ne andrà. Non è escluso che i fuoriusciti chiedano un’interpretazione elastica del regolamento, per formare un gruppo autonomo con Riccardo Nencini, eletto con Insieme.
La fuoriuscita potrebbe provocare un vero terremoto negli equilibri del centrosinistra. Il Pd è diviso tra la maggioranza di zingarettiani, l’Area dem di Dario Franceschini (alleata con Zingaretti), i renziani e la Base riformista di Lorenzo Guerini e Luca Lotti. Una corrente nata come area separata in attesa dell’avvento del Messia Renzi. Tra Guerini, Lotti e l’ex segretario, però, i rapporti sono drasticamente peggiorati. L’area, dopo la scissione, perderà un po’ la sua funzione e potrebbe svuotarsi in altre direzioni. Nel frattempo, prosegue la marcia verso il nuovo partito, che per alcuni si chiamerà l’«Italia del Sì». La sede potrebbe essere in via Frattina, in un immobile di Marcucci. I soldi non mancano, a giudicare dai fondi raccolti dai Comitati Renzi. In un mese le donazioni sono schizzate dalle 20 mila euro di giugno a oltre 260 mila a giugno. Tra i benefattori, ci sono Davide Serra, Daniele Ferrero (Venchi) e molti parlamentari. Renzi confida nell’arrivo di altri parlamentari, da Forza Italia.

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