
Il numero di studenti nelle scuole italiane diminuirà nei prossimi anni: possiamo essere certi di questo. Dobbiamo trasformare questa diminuzione dei numeri in un’opportunità
Il numero di studenti nelle scuole italiane diminuirà nei prossimi anni: possiamo essere certi di questo. È una conseguenza dell’evoluzione demografica del nostro paese. Dobbiamo trasformare questa diminuzione dei numeri in un’opportunità: è un imperativo.
I numeri della scuola in Italia sono oggi francamente scoraggianti: il 38% degli uomini ed il 33% delle donne fra i 25 ed i 64 anni non ha ottenuto un diploma di scuola superiore. Per fortuna nelle generazioni più giovani questa quota è ormai poco sopra 10%, ma rimaniamo tra i peggiori in Europa. L’aumento della proporzione di diplomati al passare del tempo non ha risolto i problemi: quasi un maturando su due non raggiunge livelli soddisfacenti nella capacità di interpretare un testo scritto o non ha basi sufficienti in matematica. Rimane poi stagnante la proporzione di immatricolati che si iscrive all’università, attorno al 60%, preparando la strada per una quota di laureati che rimane tra le più basse nei paesi sviluppati.
La diminuzione della futura popolazione in età scolastica ci spaventa, ma proprio per questo è un’opportunità unica, da non mancare. Meno studenti significa che, a parità di costo complessivo, l’investimento pro-capite può aumentare. Alla minore quantità si potrebbe accompagnare così una maggiore qualità, migliorando nel complesso il capitale umano e raccogliendo un «dividendo demografico» per la scuola. Possiamo diminuire la dispersione scolastica e la bassa quota di laureati. E affrontare la forte diseguaglianza implicita nel nostro sistema scolastico: la correlazione fra numeri di anni di istruzione fra genitori e figli in Italia è infatti più alta rispetto agli altri paesi Ocse.
Come fare? Bisogna essere scientifici e non ideologici, partendo dai dati e dalla ricerca sui sistemi scolastici. I dati principali sono quelli dell’Invalsi, che mostrano forti differenziali territoriali, da ridurre, e tra tipo di scuola secondaria superiore. Partendo sempre dalla demografia, poi, sappiamo che le nuove generazioni hanno una quota più elevata di ragazze e ragazzi con background migratorio (nati all’estero o figli di genitori nati all’estero). Soprattutto nella lingua italiana, che gli studenti con background migratorio sono in forte ritardo rispetto agli altri (mentre sono ad esempio in vantaggio per la lingua inglese).
La ricerca sui sistemi scolastici mostra che la scelta decisiva della scuola superiore fatta in età ormai da considerare precoce (13-14 anni da noi) amplifica le diseguaglianze sociali, e implica una fortissima differenza nella probabilità di proseguire gli studi oltre la secondaria. Andare al liceo classico o scientifico è più probabile per studenti i cui i genitori hanno frequentato quel tipo di scuola. Scegliere un liceo classico o scientifico apre poi le porte dell’università: circa l’80% di studenti classici o scientifici si immatricola all’università contro un 46% degli studenti provenienti da istituti tecnici ed il 26% di studenti provenienti dagli istituti professionali. Oltre ad una probabilità più bassa di accedere all’istruzione terziaria, questi ultimi studenti hanno anche maggiore probabilità di abbandonare l’università nel primo anno di studi.
Dobbiamo ripensare la scuola guardando ai modelli degli altri paesi, e trovando una nostra strada. Probabilmente, con una riforma radicale, a cent’anni da quella di Giovanni Gentile, che trasformi i bassi numeri della demografia in una qualità di uscita elevata dalle scuole secondarie e in disuguaglianze ridotte. Con più tempo, più investimenti sugli insegnanti che si mettono in gioco, e una maggiore centralità degli studenti. Guardando ai dati e non alle ideologie per valutare gli esiti.