19 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Riccardo Cesari


Il dubbio è venuto a molti. La riapertura delle scuole ha contribuito a diffondere il virus? Naturalmente il dubbio non va inteso nel senso che l’ambiente scolastico sia particolarmente adatto al contagio, nonostante la media di oltre 20 studenti per classe e nonostante le promiscuità, le scarse difese, le disattenzioni, le inadeguatezze strutturali dei plessi scolastici.

Il ruolo dei trasporti
Si può anzi ritenere, dopo gli sforzi fatti la scorsa estate dal ministero, dai direttori didattici e da tutto il personale, che l’ambiente scolastico resti non più rischioso di altri. Il dubbio sulla scuola riguarda soprattutto il contorno di contatti e mobilità che l’attività scolastica in presenza inevitabilmente comporta: trasporti affollati, assembramenti prima e dopo l’orario scolastico, movimenti di genitori e nonni.

Coinvolti 7,8 milioni di ragazzi
Escludendo gli universitari, gli alunni di tutte le scuole pubbliche (dagli asili alle superiori) sono poco meno di 7,8 milioni, quasi il 13% della popolazione italiana. Dunque una massa di persone (più l’indotto) potenzialmente capace di creare effetti molto importanti sulla diffusione virale. Ma se guardiamo ai numeri, nulla di tutto questo sembra emergere. La “prova”, per quanto grossolana, viene da un semplice confronto.
Prendiamo l’incidenza degli studenti sulla popolazione nelle varie regioni e prendiamo la quota di positivi del periodo metà settembre-metà novembre 2020. Se c’è una qualche relazione tra riapertura delle scuole e diffusione del virus dovrebbe verificarsi una relazione positiva tra queste due grandezze: dove più studenti ritornano a scuola si dovrebbero vedere, nell’arco di qualche settimana, più contagiati a casa o in ospedale. Quello che si vede è tutt’altro. La relazione tra queste due grandezze è molto debole e semmai contraria rispetto a quella immaginata: con l’eccezione della Valle d’Aosta, quota di studenti e diffusione virale tendono a essere correlate negativamente (v. Figura). I dati sembrano dirci che non è nella scuola il driver della seconda ondata.

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