30 Gennaio 2025

Il 23 febbraio le elezioni in Germania. Dal risultato potrebbe arrivare una svolta anche per i rapporti all’interno dell’Unione europea

È tornato il momento di concentrarsi sulla Germania. Le elezioni tedesche del prossimo 23 febbraio riveleranno due cose: se l’Europa ha qualche speranza di reagire alle trasformazioni in corso nel mondo che la minacciano; e come farlo. Lo status quo è ormai storia. Cina, Russia, Medio Oriente, altre nazioni sono al lavoro per ridisegnare le norme liberali che governano da ottant’anni le relazioni internazionali. E la maggiore potenza «revisionista» del vecchio ordine sarà l’America di Trump. Cambia tutto. È un terremoto e noi europei non possiamo illuderci di esserne risparmiati.
La Germania — al centro del Vecchio Continente, protagonista delle guerre e delle paci del Novecento, prima economia della Ue — è in crisi ma è anche il Paese che può indirizzare il futuro dell’Unione.
I sondaggi d’opinione indicano che la probabile vincitrice delle elezioni sarà la Cdu-Csu, cioè i cristianodemocratici ora all’opposizione del governo di Olaf Scholz. Non è più, però, la Cdu-Csu di Angela Merkel che ha governato per 16 anni a Berlino e, di fatto, a Bruxelles. È un partito che vorrà formare una coalizione di governo con una propensione meno orientata ai compromessi di Bruxelles, in particolare a quelli con la Francia, e più vicina all’Est e al Nord dell’Europa.
Il candidato cancelliere dei cristianodemocratici Friedrich Merz non è un merkeliano, anzi, e anche la squadra che lo affianca ha idee modellate sui tempi nuovi, meno allineate a come l’Unione europea ha funzionato nei decenni scorsi.Già Wolfgang Schäuble — convinto europeista, una delle anime della Cdu e della politica tedesca del passato, amico di Merz — riteneva che la Germania avesse, per ragioni storiche, un obbligo di attenzione nei confronti del Paesi dell’Est europeo. Dopo l’invasione russa dell’Ucraina, quell’obbligo è diventato un imperativo. Due giorni fa, Merz ha detto che per Berlino la Polonia è importante quanto la Francia.
Pochi giorni prima, il ministro della Difesa polacco Wladislaw Kosiniak-Kamyszha aveva detto al quotidiano Financial Times, riferendosi ai governi dell’Europa occidentale, che «dobbiamo ricordarci che ci sono alcuni grandi Paesi europei le cui opinioni non sono sempre state quelle giuste, e che in relazione alla Russia erano sbagliate». Il riferimento è ai governi che hanno egemonizzato la Commissione e i lavori di Bruxelles e alla Germania di Merkel che con la Russia di Putin ha tenuto un rapporto d’affari sempre considerato portatore di guai dai Paesi dell’Est e del Nord.
Oggi, Polonia, i tre Baltici, Svezia, Finlandia, Danimarca intendono, insieme, giocare un ruolo molto maggiore a Bruxelles: perché avevano visto giusto sulla pericolosità di Putin e perché chi ha invece sottovalutato il leader russo ha ora meno credibilità.
Lo scorso novembre, questi Paesi più la Norvegia hanno tenuto un summit per affermare la loro unità di visione e la volontà di avere più peso in Europa. Puntano a mantenere un rapporto stretto con Washington, anche nell’era Trump, e non possono permettere che la Russia vinca in Ucraina. Questo dicono i Paesi del «Cerchio del Nordest» e Merz ne condivide gran parte delle posizioni: se sarà il nuovo cancelliere tedesco, avrà con loro un rapporto stretto, a costo di essere meno in linea con i partner tradizionali.
Il leader della Cdu-Csu è un europeista (nonostante qualche tentazione da Germany First) ma è anche convinto che la Ue debba cambiare. Con Trump non vuole litigare e, invece che a una guerra dei dazi, punta a «una nuova iniziativa euro-americana per il libero commercio». Non ha dubbi sulla necessità di sostenere fino in fondo l’Ucraina: sa che su quel confine si decide il futuro europeo. Vuole nuove politiche sull’immigrazione. Su queste basi collaborerà con Polonia, Baltici, Paesi del Nord, anche con il Regno Unito. Non abbandonerà il rapporto stretto con Parigi e quello storico con l’Italia: ma Berlino che sposta il suo raggio d’azione verso Nordest — verso quella che gli americani chiamano New Europe — vira il baricentro della politica europea, cambia gli equilibri nella Ue e nei Consigli europei ciò peserà. È il segno che il nuovo mondo è arrivato anche nel Vecchio Continente, dice che come prima non si può continuare.
Merz guida la Cdu-Csu affiancato da politici d’esperienza ma diversi dal cerchio che fu vicino a Merkel. Thorsten Frei, duro sul controllo dell’immigrazione; Jacob Schrot, suo capo dello staff e filoamericano; il potente ministro-presidente del Nord Reno-Westfalia, Hendrik Würst; il leader della corrente più conservatrice della Cdu, Jens Spahn. Con ogni probabilità, per finanziare gli investimenti nella Difesa, accetteranno di rilasciare il famoso freno del debito che impedisce a Berlino di fare deficit: argomentando che la Germania può indebitarsi nell’emergenza perché ha tenuto il debito basso in passato. Più incerta l’emissione di bond comuni europei, perché una politica estera e una politica della Difesa comuni, che la giustificherebbero, sono lontane da venire. Possibili, invece, proprio le alleanze con gruppi di Paesi con visioni vicine a quelle del governo tedesco.
Niente naturalmente è scontato: Merz può perdere, può non riuscire a realizzare i suoi obiettivi, può risultare troppo divisivo nella Ue. Ma possiamo augurarcelo? La fine dello status quo europeo richiama la Germania al suo ruolo di perno indispensabile nel continente. Con idee nuove e senza più riluttanza.

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