21 Novembre 2024

L’appello di Trump alla vigilia dell’arresto («è voi che vogliono ingabbiare») e i rischi di derive pericolose in campagna elettorale

«La verità è che non ce l’hanno con me, ce l’hanno con voi, è voi che vogliono ingabbiare»: è stata questa una delle frasi-appello pronunciate da Donald Trump in agosto, alla vigilia dell’arresto in Georgia. Riverbera il tentativo dell’ex presidente e leader repubblicano di serrare i ranghi tra i suoi sostenitori, accendendo roghi lungo il sentiero della campagna di difesa giudiziaria e di una prossima campagna elettorale. «L’identità di gruppo oscura la politica, diventa la prima spinta a schierarsi», ha titolato il Wall Street Journal, ragionando sul fossato che si sta facendo incolmabile in un’America avvelenata dalle contrapposizioni su ogni piano della vita, pubblica e privata.
In teoria, non dovrebbe esserci niente di nuovo. Il nostro stesso cervello, in circostanze estreme, si rivela più adatto al “tribalismo”, allo scontro veloce e diretto, che non al confronto civile, a quella faticosa mediazione che impone di individuare possibili punti comuni a centrocampo. Succede, banalmente, quando dobbiamo valutare una decisione arbitrale: “vediamo” cose diverse a seconda dei colori del tifo, a volte neppure il referto delle tecnologie più avanzate riesce a far combaciare gli sguardi. E lo ha dimostrato uno studio condotto a Yale, nel 2013, esaminando i risultati di un test matematico distribuito fra tre gruppi di adulti che si riconoscevano in tre orientamenti paralleli – liberali, moderati, conservatori. Nonostante indiscusse abilità specifiche nella materia, il grado di successo nell’elaborazione del problema dipendeva da quanto l’esito finale (a proposito dell’efficacia di un pacchetto di restrizioni alla vendita di armi) corrispondesse o no all’orientamento politico di partenza.
A questo punto le domande che dovremmo porci sono due. Se queste sono le premesse, valide in più spazi dell’esistenza e attive da sempre, perché la strategia trumpiana sembra aver trovato – e ritrovato, nonostante i procedimenti a carico – un terreno particolarmente fertile, più che mai? E ancora: questo rintanarsi della politica in gruppi e sottogruppi “identitari” devasterà le prossime elezioni europee, infiammando confini esterni e interni? Negli Stati Uniti rappresentanti dei due grandi partiti, Democratici e Repubblicani, stanno cercando di mettere insieme le forze per sostenere un programma chiamato «Disagree Better», dissentire meglio, elaborato dall’università di Stanford.
Ma, come non ha nascosto il sociologo Robb Willer interpellato sempre dal Wall Street Journal, «è un po’ una situazione alla Davide e Golia». Ragione in più per cercarsi una fionda. In Europa, il pericolo di prendersi a sassate tra vicini – dal Patto di Stabilità in giù – per accendere le proprie platee è enorme. E, paradossalmente, ciò avviene mentre cresce la consapevolezza che nessuna strategia potrà più essere nazionale. Non la risposta alla crisi climatica, non i piani di contenimento di migrazioni senza precedenti nella Storia, non il conflitto armato tra democrazie e regimi in Ucraina, non i duelli globali come quello con l’auto elettrica cinese o i giganti tecnologici americani. Noi siamo l’Europa, o presto non saremo più niente.

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