Fonte: Corriere della Sera
di Lorenzo Bini Smaghi
Fino a quando il pensiero prevalente soprattutto della classe politica sarà che i nostri mali dipendono dall’Unione, resteremo il fanalino di coda
Le ultime previsioni della Commissione europea, che mostrano l’Italia come fanalino di coda in Europa, hanno avuto un ampio risalto. Nell’anno in corso il nostro Paese dovrebbe crescere dello 0,9%, il ritmo più basso di tutta l’area dell’euro. In realtà, non c’è niente di nuovo. Anche nell’ultimo triennio l’Italia ha registrato la crescita più anemica. Nel periodo 2014-16 il prodotto lordo è aumentato dello 0,6% annuo, contro una media dell’1,6% per l’area dell’euro. Solo la Grecia ha fatto peggio.
Il dato rimane comunque sorprendente, da tre punti di vista. Innanzitutto, l’Italia è, dopo la Grecia, il Paese che ha subito la recessione più grave. Dovrebbe pertanto crescere più degli altri per recuperare il terreno perduto. Il divario invece aumenta. Per l’area dell’euro nel suo insieme, il reddito è tornato oltre il precedente picco del 2008, mentre in Italia rimane inferiore di circa 6 punti. Inoltre, negli ultimi anni i Paesi (sempre con l’eccezione della Grecia) che hanno un reddito medio inferiore alla media — quelli più poveri, come i baltici, il Portogallo, la Spagna, la Slovenia o la Slovacchia — hanno ripreso a crescere più della media. Il processo di convergenza all’interno dell’unione monetaria, che si era interrotto con la crisi, ha ricominciato a funzionare. Non è tuttavia il caso dell’Italia, il cui reddito è oramai inferiore alla media, e cresce meno della media.
Il secondo aspetto riguarda le politiche macroeconomiche, che nel caso dell’Italia sono state più espansive della media. L’Italia è tra i Paesi che hanno tratto maggior beneficio della riduzione dei tassi d’interesse, prodotta dalla politica monetaria messa in atto dalla Banca centrale europea, in particolare con il quantitative easing. Nell’ultimo triennio il peso degli interessi sul debito pubblico si è ridotto di circa 1 punto percentuale di Pil, contro un calo dello 0,6% per la media dell’area euro. L’Italia è inoltre il Paese che ha messo in atto la politica fiscale più espansiva. Il surplus primario di bilancio pubblico — cioè al netto degli interessi sul debito — è sceso dal 2,1% nel 2013 all’1,7% lo scorso anno, ed è previsto diminuire ulteriormente nel 2017. L’espansione fiscale è ancor più evidente se si corregge questo dato per gli effetti ciclici.
Infine, l’Italia è tra i Paesi europei che hanno maggiormente beneficiato del miglioramento delle ragioni di scambio internazionali, connesso in particolare alla riduzione del prezzo del petrolio. Nell’ultimo triennio i prezzi all’export sono aumentati più di quelli all’import complessivamente del 10%, contro il 6% della media europea.
In sintesi, l’Italia cresce meno degli altri Paesi europei nonostante abbia la stessa moneta, tragga beneficio della stessa politica monetaria, e abbia beneficiato più di ogni altro Paese dei margini di flessibilità concessi alla politica di bilancio, diventata espansiva.
Da quest’analisi emerge una conclusione semplice. Contrariamente a quanto sostiene chi propone di uscire dall’Europa, o dall’euro, o chi denuncia i danni dell’«austerità imposta da Bruxelles», non c’è nessuna evidenza che i problemi dell’Italia nascano dall’Europa. I problemi dell’Italia nascono in Italia, in particolare: dal rinvio, anno dopo anno, del risanamento dei conti pubblici per ridurre in modo sostenibile il peso del debito, che crea nei cittadini e nei risparmiatori un senso di incertezza e scoraggia consumi e investimenti; dalle difficoltà, o dalla mancanza di coraggio, per realizzare riforme strutturali incisive, che consentano di invertire la dinamica negativa della produttività (-0,6% negli ultimi tre anni, contro +2% nell’area euro); dall’incapacità di realizzare investimenti pubblici, e togliere gli impedimenti a quelli privati, per attivare un effetto moltiplicatore sul sistema economico, ecc.
Fin quando il pensiero prevalente, soprattutto della classe politica italiana, continua ad attribuire la colpa di tutti i mali del Paese all’Europa, siamo destinati a rimanere il fanalino di coda. Più isolati, e più poveri.