La mia prima reazione al voto europeo è stata: «ancora una volta, i penalizzati da questo voto saranno i giovani! ». D’altra parte, non c’è molto da stupirsi visto che l’Europa invecchia rapidamente e che i giovani rappresentano già oggi una frazione “in ritirata” della popolazione, destinata a ridursi ancora nei prossimi decenni a fronte dell’espansione di quella anziana. Nei prossimi decenni – salvo guerre – la vita continuerà ad allungarsi ma il numero dei nati continuerà a ridursi, con profonde ripercussioni su molti aspetti della vita. Le finanze pubbliche saranno “stressate” dai crescenti bisogni dei sistemi sanitari, assistenziali e pensionistici, lasciando poco spazio ai bisogni delle altre fasi della vita, quelle in cui ci si forma e si lavora. Seconda reazione: la modernizzazione in democrazia sembra condurre a una minore partecipazione alle elezioni. Gli anziani sono cresciuti con l’idea che il voto sia al tempo stesso una grande conquista e un dovere imprescindibile. I giovani non hanno questo passato e il non votare non porta a sensi di colpa.
Terza e più amara reazione: la classe dirigente europea non sembra esser riuscita a tenere la barra dritta sui valori dei padri fondatori dell’Unione che si sono tradotti in moneta unica e mercato unico, nelle libertà di movimento e d’impresa, nell’abolizione delle frontiere e del controllo passaporti; nell’accesso comune a tutto ciò che può favorire una crescita inclusiva, con benessere diffuso: non solo innovazioni tecnologiche ma anche l’affermazione intransigente dei diritti e la realizzazione di un welfare – finanziato secondo principi di equità fiscale – in grado di sorreggere i cittadini nelle avversità. Questa costruzione, iniziata con entusiasmo e qualche successo, non sembra più, negli ultimi tempi, un grande ideale da realizzare e diffondere. Certo, ciò è legato alle difficoltà crescenti degli ultimi quindici anni: crisi finanziaria, Grande Recessione, la devastante guerra in Ucraina, le difficoltà energetiche e le fiammate inflazionistiche. È così prevalsa l’idea di un’Europa piombata nell’austerità, incapace di affrontare in modo coeso le grandi sfide economiche, ambientali e geopolitiche. E persino di fronte al Covid e alle sue terribili conseguenze sul piano economico e sociale – dove peraltro la Commissione Europea ha dato buona prova con circa 800 miliardi di debito comune per aiutare i singoli Paesi a intraprendere le riforme e a realizzare gli investimenti) – è mancato un riconoscimento della rapidità e dell’efficacia delle scelte comuni. La transizione green e gli aiuti militari all’Ucraina non hanno sempre ottenuto un consenso diffuso, anzi sempre più spesso, un’opposizione esasperata anche dai fatti di Gaza. A questo si è aggiunta la palese incapacità – o mancanza di volontà – nell’affrontare in maniera costruttiva la questione dell’immigrazione anche come rimedio allo scivolamento demografico del continente. Una destra sempre più protestataria ha tratto vantaggio dalle incertezze sempre maggiori della maggioranza.
L’Unione ha così vissuto un quindicennio horribilis di paure e diseguaglianze crescenti. Le visioni più tecnocratiche della politica sono risultate incapaci di suscitare visioni e sentimenti lasciando spazio ai populismi e ai nazionalismi, con visioni nostalgiche di periodi passati ben più spaventosi dell’attuale e certamente non democratici, arrivando talora a partiti o movimenti dichiaratamente neofascisti o neonazisti, inidonei a creare un ambiente favorevole alla crescita e all’inclusione ma atti a creare un clima di maggiore contrapposizione all’interno e di minore apertura all’esterno – con un ripiegamento simile a quello provocato in Gran Bretagna dalla Brexit il cui costo maggiore è stato (e ancora sarà), non a caso, sostenuto proprio dalle giovani generazioni. Starà alla prossima maggioranza (che sperabilmente non includerà questa destra), alla prossima Commissione e al suo (alla sua) Presidente ritrovare il sentiero dei fondatori. Sul piano economico-sociale, il futuro dell’Europa si giocherà essenzialmente su tre fronti (non considero quello militare, della difesa comune e della difesa dell’Ucraina, che naturalmente assorbirà molte risorse, in contrasto con quelle civili).
Il primo è riuscire a rendere non alternativi il calo demografico e l’immigrazione. Abbiamo bisogno di migranti e dobbiamo aumentare il tasso di fertilità, o almeno arrestarne la caduta; non già per mantenere la nostra identità nazionale ma per evitare le drastiche ripercussioni economiche e sociali dello sconvolgimento nella composizione per età della popolazione. Non solo è a lungo termine impossibile bloccare chi vuole uscire dalla desolazione del suo paese d’origine ma occorre anche riconoscere che nella nostra economia le imprese non riescono a coprire un crescente numero di posti di lavoro di cui avrebbero bisogno. Non ci sono ricette sicure ma un mix di elementi culturali (come il riconoscimento sociale del diritto delle donne all’indipendenza economica come prerequisito della loro libertà di scelta e in contrasto con atteggiamenti paternalistici), di norme e di servizi per la conciliazione del lavoro con la genitorialità. Il secondo consiste in una revisione del welfare che guardi a tutto il ciclo di vita delle persone e non quasi soltanto all’età anziana e al bisogno di assistenza. Occorre superare il principio della sussidiarietà che considera i diritti e le prestazioni sociali un presidio degli stati nazionali, sui quali l’Europa si esprime indirettamente quasi soltanto attraverso il richiamo al rispetto di vincoli finanziari (mal tollerato dagli stati nazionali che, per l’appunto, pretendono autonomia decisionale e libertà di indebitamento). I diritti sociali devono diventare un tema europeo non meno delle libertà economiche e occorreranno anche modalità di finanziamento comuni, com’è stato per il programma Sure che ha offerto sostegno finanziario agli Stati membri per finanziare programmi di riduzione dell’orario di lavoro nel periodo del Covid.
Il terzo, forse più arduo obiettivo, è il ricorso al debito comune per realizzare quella massa di investimenti in ricerca, innovazioni e tecnologia senza le quali se l’Europa Unita sarà debole e i singoli stati nazionali conteranno sempre meno. Si tratterebbe di un’evoluzione importante della Ue verso un bilancio proprio e forme autonome di finanziamento, un passo decisivo verso quell’Europa Federale che, pur guardata con molto scetticismo o diffidenza, in particolare dalla destra, costituisce però un grande obiettivo per il futuro dei giovani europei.