Fonte: La Stampa
di Elena Dusi
I sismi molto forti modificano il campo gravitazionale della Terra. E queste alterazioni possono essere percepite dagli strumenti con alcune decine di secondi di anticipo rispetto ai sismometri. Un tempo breve, ma sufficiente a dare un “allarme rapido”. La scoperta è nata da un inedito matrimonio fra esperti di onde gravitazionali e geologi
NON SOLO sismometri. L’ago che oscilla sul rullo è da sempre sinonimo di terremoto. Ma oggi – almeno per le scosse molto forti – esiste un altro metodo per registrare il movimento della terra, capace di darci il suo segnale con secondi di anticipo (fino ad alcune decine) rispetto allo strumento tradizionale. Questo permetterebbe di installare sistemi di “allerta rapida” migliori, pronti a scattare subito dopo la rottura della faglia, ma prima dell’arrivo della scossa che distrugge.
Il terremoto in Giappone del 2011 è stato talmente forte da aver alterato il campo gravitazionale terrestre. Questa variazione, per la prima volta, è stata osservata proprio nel momento in cui la terra si rompeva. Un picco, all’apparenza simile a quello di un sismometro, è stato registrato da uno strumento che si chiama gravimetro superconduttore e che si trovava in un laboratorio sotterraneo a Kamioka, a 500 chilometri dall’epicentro del sisma.
La scoperta – pubblicata su Nature Communications – ha un’implicazione importante: la variazione del campo gravitazionale infatti viaggia più velocemente delle onde sismiche. Verrebbe dunque registrata prima rispetto all’oscillazione dei sismometri, dando alcune decine di secondi di tempo in più ai sistemi di early warning. Queste reti di allerta rapida danno il tempo di inviare sms alla popolazione, fermare treni o bloccare condutture del gas. Attualmente sono installati in Giappone, Messico, California, Cina, Turchia e Taiwan. In Italia esiste un prototipo sperimentale in Irpinia, che può arrivare a un anticipo di 8-10 secondi rispetto alla scossa. Usare le variazioni di gravità regalerebbe tempo prezioso a questi allarmi.
“A Kamioka – spiega Carlo Doglioni, presidente dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia – l’anomalia gravitazionale è stata registrata 50 secondi dopo il sisma, con circa 30 secondi di anticipo rispetto all’arrivo delle prime onde sismiche, quelle P, che viaggiano a circa 7 chilometri al secondo”.
“Il segnale questa volta è arrivato quasi un minuto dopo la rottura della faglia, ma abbiamo le potenzialità per arrivare a 5 o 10 secondi, con strumenti migliori” spiega Jan Harms, uno degli autori della ricerca, tedesco ma oggi arruolato dall’università di Urbino e da Virgo, l’antenna gravitazionale dell’Istituto nazionale di fisica nucleare. “Il problema è che l’early warning è molto importante in Giappone, dove molti terremoti nascono in mare e danno tempo alla popolazione di prepararsi. In Italia, dove gli epicentri sono vicini alle città, il preavviso sarebbe più ridotto”.
I segnali del campo gravitazionale, però, sono assai più difficili da registrare rispetto alle onde sismiche. “Servono degli strumenti molto, ma molto sensibili” spiega Matteo Barsuglia, fisico del Cnrs francese ed esperto di onde gravitazionali. “A limitarci è soprattutto il rumore sismico naturale che stabilmente pervade la Terra, e che noi facciamo fatica a escludere quando cerchiamo variazioni di gravità legate a un eventuale terremoto in corso”.
Occorrono gravimetri non solo più sensibili, ma anche concettualmente nuovi. “L’obiettivo non è impossibile, sulla carta” riflette Barsuglia. “Abbiamo delle idee, ci servirebbe uno strumento isolato dal rumore sismico e capace di misurare la variazione del campo gravitazionale in due punti diversi”. Di questi strumenti andrebbe poi riempita la Terra, per racchiuderla in una rete il più ricca possibile di segnali. “In Giappone – aggiunge Harms – si sono dimostrati subito interessati al nostro lavoro”.
Se il limite di questa ricerca è ancora di tipo tecnico (ed economico), la sua forza nasce dal modo assai peculiare in cui è nata. Metà dei suoi autori, infatti, non ha nulla a che vedere con la scienza dei terremoti. Studia bensì le onde gravitazionali.
Osservate per la prima volta a febbraio di quest’anno, le onde gravitazionali sono state definite la “scoperta del secolo” perché teorizzate da Einstein cento anni fa. Ma solo oggi, grazie a strumenti chiamati “antenne gravitazionali” sono stati captati i primi due segnali, prodotti da due cataclismatiche fusioni fra buchi neri, rispettivamente a 1,3 e 1,4 miliardi di anni luce da noi.
Le antenne gravitazionali, per captare i debolissimi segnali partiti dagli angoli remoti dell’universo, devono ovviamente essere schermate dalle oscillazioni sismiche del nostro pianeta. “Noi siamo fisici – racconta Barsuglia – e ci occupiamo di onde gravitazionali. Qualche anno fa abbiamo incontrato dei geofisici per discutere del problema del rumore sismico. E siamo finiti a discutere di terremoti ed early warning. Non ce lo aspettavamo certo all’inizio”.
E non è finita qui. “Vedere le cose sotto nuovi punti di vista è molto fruttuoso” aggiunge il fisico che da Parigi lavora all’antenna gravitazionale Virgo, a Càscina in provincia di Pisa. “Usare le variazioni del campo gravitazionale durante il sisma potrebbe portarci a nuovi modi di studiare i terremoti, di osservare quel che avviene sotto terra”.
“Gravimetri e sismometri – aggiunge Harms – possono diventare strumenti complementari, per lo studio dei terremoti. I primi sono sensibili alle frequenze basse, i secondi a quelle alte”. Il fisico tedesco ha iniziato la sua carriera come esperto di onde gravitazionali. “Ho lavorato per dieci anni a Ligo, l’antenna americana. Lì ho iniziato a occuparmi del problema dell’isolamento sismico dello strumento. Nel frattempo sono passato a Virgo e oggi mi considero un po’ a cavallo fra i due campi”.
“Di fatto – spiega Doglioni – quel che per i fisici è un problema (le deformazioni della Terra che fanno perdere l’allineamento alle loro antenne), per noi geologi sono opportunità di conoscenza. Gli strumenti per rilevare le onde gravitazionali potrebbero dimostrare tra l’altro che a muovere le placche terrestri contribuiscono anche Sole e Luna, con la loro forza di gravità”.