19 Settembre 2024

CULTURA

Fonte: La Repubblica

Libreria Shakespeare Parigi

di Rosita Rijtano

Fondata nel 1951 a Parigi dal comunista George Whitman, oggi sotto la direzione della figlia Sylvia continua ad offrire un posto letto a “veri lettori”, aspiranti scrittori e poeti. Oltre 20 mila fino ad oggi. Al primo piano volumi in inglese e pianoforte sono messi a disposizione di tutti. E arrivano visitatori da ogni parte del mondo

A Parigi ci sono luoghi pieni di altrove; spazi senza tempo, che si affacciano su altre culture. Il numero 37 di rue de la Bûcherie, una delle più antiche vie sulla sinistra della Senna, a pochi passi dalla Sorbona, è uno di questi. Le piccole finestre si aprono su Notre Dame, eppure all’interno della palazzina medievale sembra di essere catapultati in un paese anglosassone. Dove, a guardar con più attenzione, è possibile incontrare l’intero pianeta. Perché a visitare la Shakespeare and Company, quell’utopia socialista mascherata da libreria così come la chiamava il fondatore George Whitman, arrivano autori e lettori da ogni parte del globo. Tanto che durante il giorno le stanze del negozio, al pari della nuova caffetteria letteraria aperta di fianco appena qualche settimana fa, sono spesso affollate. E il libro dedicato alla sua storia, in uscita agli inizi del prossimo anno, non si limita a raccontare il passato dell’edificio e di chi l’ha abitato, bensì offre anche uno spaccato dei cambiamenti sociali che hanno attraversato la città e l’Occidente.
“Non hai bisogno di viaggiare per il mondo. Qui è il mondo che viene da te”, diceva Whitman alla figlia Sylvia, quando 21enne ha iniziato ad occuparsi della libreria, dopo un’assenza durata 16 anni a causa della separazione dei genitori. Aveva ragione. Qui approdano per chiacchierare, leggere, suonare. E salgono al primo piano, dove volumi in inglese e pianoforte sono a disposizione di tutti. C’è Dominique, 19 anni, studente del Sud Africa: “Si trova un’ottima selezione di libri”. C’è Stephen, musicista di 53 anni, dalla Nuova Zelanda: “È un bell’ambiente. E penso che la musica riesca ad unire le persone, dopo gli ultimi attentati terroristici”. Soltanto quando rintoccano le nove di sera, poco prima della chiusura prevista alle undici, le sale si svuotano. Ed è in questi momenti, tra i vecchi volumi, che è possibile comprendere l’anima del posto, l’anima di George. “Era un brillante visionario. Lavorargli vicino è stata un’incredibile fonte di gioia; e allo stesso tempo frustrante, perché non aveva alcun senso pratico e non voleva che cambiassi nulla”, ci confida Sylvia. Ma era generoso, curioso di tutto e tutti. “Credeva in una sorta di vita comunitaria: viveva qui, con le porte costantemente aperte sette giorni su sette, senza alcun tipo di privacy. Durante l’anno spariva per qualche settimana, nessuno sapeva dove andasse. Una volta ha persino lasciato la libreria a uno sconosciuto appena entrato, si fidava delle persone. Non amava alcun tipo di lusso, non buttava via nulla. Ciò significa che, a volte, potevi mangiare la peggiore poltiglia che si possa immaginare. Anche se lui diceva che faceva bene alla tua salute. Un libro che lo descrive? L’Idiota di Dostoevskij, ma pure Don Chisciotte di Cervantes”.

La stessa vita di Whitman potrebbe facilmente essere un romanzo: laureato in giornalismo a Boston nel 1935, nel corso della Grande Depressione ha vagabondato per gli Stati Uniti, il Messico e l’America Centrale. È stato in Asia e in Groenlandia. L’arrivo a Parigi nel 1945 e la decisione di aprire la libreria, da cui non è quasi più uscito, nel 1951. Aveva 41 anni. Il primo nome scelto? Le Mistral, cambiato nell’attuale solo nel 1964, in occasione del 400esimo anniversario della nascita di William Shakespeare. E in onore di Sylvia Beach, che nel 1919 ha aperto il negozio originale al numero 12 di rue de l’Odéon. Poi chiuso nel periodo dell’occupazione tedesca. Entrambi i librai, e relativi bookshop, sono stati un punto di riferimento per artisti e scrittori. Intorno a Beach, che ha persino pubblicato la prima versione dell’Ulisse di James Joyce quando nessun altro la voleva, gravitava la cosiddetta Generazione Perduta. Da Hemingway a Stein, passando per Fitzgerald, Eliot e Pound. Mentre Whitman, comunista tesserato sia in Francia sia negli Stati Uniti, ha attirato la Beat Generation e non solo. Qualche esempio? Anaïs Nin, Henry Miller, Ray Bradbury, Richard Wright, Julio Cortázar e Lawrence Ferlinghetti: sono solo alcune delle figure che hanno partecipato agli incontri letterari della Shakespeare and Company. Di uno dei più famosi i protagonisti sono: un timido Allen Ginsberg, William Burroughs e Gregory Corso, che leggeva nudo tra due poliziotti. “Nessuno era sicuro riguardo a come prenderla, se essere amareggiati o mettersi a ridere”, ha spiegato lo stesso Whitman.
Di recente, invece, quest’angolo di Parigi ha ospitato tra gli altri: Jonathan Safran Foer, Martin Amis, Zadie Smith, Dave Eggers,  Paul Auster, e Nathan Englander (che si è sposato qui). La media è di un evento a settimana, con lo scopo di mantenere una comunità affezionata. A gestire il tutto, dopo la morte di George nel 2011, sono Sylvia e il suo compagno, David Delannet. Più il cane Colette e la gatta Aggy, che deve il nome al luogo del suo ritrovamento: vicino ai libri di Agatha Christie. E poco importa se accanto alle vecchie macchine da scrivere si vedono moderni laptop; se ci sono telecamere di sorveglianza, telefoni e wi-fi.  “Abbiamo traghettato il negozio nel Ventunesimo secolo, ma l’utopia socialista è rimasta intatta”, assicura la giovane Whitman.
Non solo nella libreria, in cui si possono leggere gratuitamente e senza alcun tipo di obbligo, i libri di Beach e George (pure quelli nuovi venduti al pianterreno, volendo). Ma anche nel fatto che al  37 di rue de la Bûcherie ci dormono. Gratis. Sylvia e David, infatti, offrono alloggio a “veri lettori”, poeti e scrittori che ne fanno richiesta. Una tradizione iniziata da George, che voleva ricambiare la generosità ricevuta da nomade. Il suo motto si trova scritto sul muro del primo piano: “Non essere inospitale con gli stranieri, potrebbero essere degli angeli in incognito”. “Quando ero piccola mio papà mi diceva sempre che avevo fratelli e sorelle sparsi per il pianeta”, continua Sylvia. “Li chiamava Tumbleweed, come quegli arbusti che nelle zone desertiche vanno e vengono, trasportati dal vento”. In pratica: aspiranti autori che George incoraggiava, e a cui metteva a disposizione un posto letto per un certo periodo di tempo. “Abbiamo mantenuto l’usanza. Nessuna possibilità di prenotare, si arriva e si chiede di rimanere. Decido io, dopo un colloquio conoscitivo. Chi resta, in cambio, ogni giorno deve lavorare due ore nel bookshop e leggere un libro. In più scrivere una breve autobiografia che conserviamo”.
In totale si stima che dal 1951 ad oggi più di 20mila giovani hanno cercato accoglienza. Hanno dormito negli angoli nascosti del negozio, o nelle stanze al quarto piano. Tutti accomunati dalla stessa passione per libri e scrittura, seppur molto diversi. Di epoca in epoca. I Cinquanta sono stati gli anni di chi fuggiva dagli Stati Uniti per via del maccartismo e del razzismo. I Sessanta quelli delle femministe e degli studenti che si rifugiavano nella “utopia socialista” di Whitman durante le contestazioni del ’68. Negli anni Settanta il negozio è stato attraversato da gente diretta verso l’India e Katmandu. Mentre i backpacker, i viaggiatori con lo zaino, hanno dominato sia negli Ottanta sia nei Novanta. Ora è il tempo di ragazzi che hanno appena terminato l’università e non sanno bene come indirizzare il proprio talento. Un po’ come Evan, 24 anni, che starà tre mesi: “Il mondo è cambiato, la letteratura è cambiata. Ma lo spirito di chi la ama no”, dice. “E leggere è fondamentale per chi ambisce a scrivere per mestiere, qui posso farlo”.
Così parlare di lotta contro Amazon per Sylvia non ha alcun senso. “Vero, ti offrono un’ampia scelta, un servizio veloce e prezzi bassi. Ma qui è un’altra cosa. Poi non ho alcun rispetto per le grandi compagnie che non si assumono alcuna responsabilità. Preferisco le piccole che pagano correttamente tasse e dipendenti, e danno carattere alle città in cui si trovano”. E la Shakespeare and Company ha una personalità unica. Del resto, suo papà l’aveva avvisata: “Ho creato questo negozio, come un uomo scriverebbe un romanzo; costruendo ogni stanza come se fosse un capitolo. Mi piace che la gente apra le sue porte, nello stesso modo in cui apre un libro”. Un libro ben scritto. Che vale ancora la pena sfogliare.

 

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