Fonte: Huffington Post
di Federica Fantozzi
Si lavora al compromesso con Conte, che non esclude il voto della base. Sventato blitz di Forza Italia sull’abuso d’ufficio
Tra la drammatizzazione grillina a sinistra e la manovra forzista per rinviare tutto a settembre a destra, la riforma Cartabia prosegue il suo accidentato percorso. E sembra aver “scollinato” in direzione di un’intesa che deve arrivare entro giovedì, se il Governo vuole riuscire ad approdare nell’aula di Montecitorio il giorno dopo. Mentre il Csm si prepara a far licenziare dal plenum il parere, che si annuncia critico, proprio in tempo per quell’appuntamento.
Indossati i panni del mediatore “costruttivo”, Conte ostenta i muscoli di fronte ai suoi deputati: “Non voglio nemmeno considerare l’ipotesi che non venga modificato il testo della riforma, votarla così sarebbe difficile”. L’ex premier rassicura, chiede ancora qualche giorno, giura che “i margini di manovra sono strettissimi ma ce la sto mettendo tutta”, ventila una consultazione online della base M5S. Ma i margini per l’accordo ci sono già: l’esclusione dei reati di mafia e terrorismo dal perimetro dell’improcedibilità, oltre alla norma transitoria proposta dal Pd che differisce di tre anni l’entrata in vigore. È il canovaccio che stanno limando Draghi e Cartabia, che ieri è stata due volte a Palazzo Chigi. In parallelo, va avanti il percorso in commissione Giustizia, dove è fallito il tentativo del centrodestra di allargare il perimetro della legge ai reati di ufficio, con il no di “Coraggio Italia” e l’astensione di Lupi.
Al mattino parte il “confronto” di Conte con i deputati, ordinatamente divisi per commissioni (vedrà la Giustizia mercoledì). Si incrociano gli impegni che l’ex premier ha preso con il suo successore con le istanze storiche del Movimento, i timori che interi maxi-processi finiscano al macero, gli allarmi di Gratteri e dell’Antimafia. Finale in stand-by. Ma lontano dalla scena, è a buon punto. Il concetto chiave resta quello degli “aggiustamenti tecnici”: non solo la versione originale del testo Cartabia già prevedeva l’estensione dei tempi dei procedimenti per mafia e terrorismo (quelli puniti con l’ergastolo sono già improcedibili), ma queste fattispecie di reato hanno uno “status particolare”. E processi con imputati detenuti, che hanno già priorità. In sostanza, Palazzo Chigi e via Arenula ritengono di poter andare incontro alle esigenze di M5S senza snaturare la riforma né aprire il vaso di Pandora delle rivendicazioni partitiche perché si tratta di “ampliare l’ambito di garanzie preesistenti”.
Disinnescata (forse) quella mina, resta la ghigliottina dei tempi. Senza accordo anziché un emendamento unico, si voterebbe sui singoli articoli e servirebbero 4 o 5 fiducie. Il presidente M5S della commissione Perantoni ha avvisato l’esecutivo: “Intesa entro giovedì se si vuole rispettare il timing”. Un altolà frutto anche di quanto accaduto con la (inattesa) impuntatura di Forza Italia che oggi ha tentato fino alla fine di far rientrare nella riforma gli emendamenti sull’abuso d’ufficio per i sindaci e sulla riqualificazione della nozione di pubblico ufficiale. Prima respinti dall’ufficio di presidenza, sono stati poi dichiarati inammissibili “per estraneità di materia” dal presidente della Camera Roberto Fico.
A quel punto, il capogruppo Zanettin ha chiesto l’allargamento del perimetro del provvedimento: manovra che, se fosse riuscita, avrebbe comportato la riammissione di tutti gli emendamenti sui reati contro la Pubblica Amministrazione, con l’inevitabile rinvio a settembre. Un blitz che ha fatto infuriare (e ballare) Pd e M5S, fallendo di poco: 25 no e 19 sì per la richiesta forzista, 23 no e 21 sì per quella analoga di Alternativa C’è. Grande paura, ormai alle spalle. Con un corollario: la deputata e magistrata Giusi Bartolozzi lascia polemicamente Forza Italia e approda al Misto. Intenzionata a votare contro la proposta dei suoi, è stata fulmineamente rimossa dalla commissione Giustizia e promossa (pare a sua insaputa) capogruppo della Affari Costituzionali, e non ha apprezzato.
Ostacolo superato, ma restano scorie. Tajani protesta contro “il ritorno dell’asse giustizialista Pd-M5S”. Anche il capogruppo alla Camera Occhiuto è scontento: “Dispiace che la maggioranza si sia divisa sui nostri emendamenti, vedo troppa attenzione a farsi carico delle richieste M5S. La fiducia? Vedremo il testo finale”. Nel frattempo la Lega si dice “molto preoccupata per le perdite di tempo causate dai capricci di Conte e Grillo. L’Italia che vuole rialzarsi dopo mesi di sofferenza non può tollerare i ricatti del Movimento 5 Stelle: oggi sulla Giustizia, domani su Equitalia, codice degli appalti, Quota 100 o fisco”. Se ci sarà la fiducia “la voteremo convintamente – è la linea del dem Verini – Sono certo che la sintesi finale del Governo terrà in piedi certezza e durata ragionevole dei processi, effettivo rafforzamento degli uffici giudiziari e delle Corti più in difficoltà, esigenza di far giungere a piena conclusione in tempi certi procedimenti per gravissimi e gravi reati”. Se sarà davvero così, lo si capirà nelle prossime 48 ore.