23 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi

Il governo continua a illudere gli italiani che il ritorno dello Stato nel ruolo di imprenditore, a cominciare da Alitalia, possa aiutarci a crescere, scordando ad esempio che la Tav costa meno della metà di quanto lo Stato ha speso finora per salvare Alitalia: 11 miliardi


Dieci anni dopo la crisi finanziaria del 1929 scoppiava la Seconda Guerra Mondiale. Gli errori delle banche centrali di allora, uno Stato sociale pressoché inesistente, ma soprattutto un decennio di protezionismo e di guerre tariffarie avevano fatto sì che il collasso finanziario del 29 ottobre 1929 si tramutasse in una spaventosa depressione: crolli del Pil di quasi il 30 per cento, disoccupazione di massa, con costi sociali enormi che contribuirono al consolidamento di regimi dittatoriali.
Oggi, a dieci anni dalla crisi finanziaria del 2008-09, che aveva fatto temere il ripetersi della Grande Depressione, il mondo si è invece ripreso assai bene. Tranne qualche colpo di coda protezionista — soprattutto fra Trump e la Cina che però sembrano più tattica negoziale che una guerra permanente – il commercio internazionale e la cooperazione tra Paesi non si sono interrotti. Gli Stati Uniti crescono da tempo a più del 3 per cento l’anno, con una disoccupazione che ha raggiunto il minimo storico.
L’Europa un po’ meno, ma anche i Paesi che avevano problemi di debito, come Spagna, Irlanda e Portogallo, e che hanno dovuto attuare programmi di austerità ben più drastici del nostro, crescono a tassi tra l’1,7 per cento del Portogallo e il 3,8 dell’Irlanda. La disuguaglianza nel mondo è scesa perché i Paesi più poveri crescono più di quelli ricchi. Ma la diseguaglianza è aumentata all’interno di qualche Paese, in primis negli Stati Uniti. Questa tendenza va corretta ma senza affossare la crescita, altrimenti la disuguaglianza si riduce rendendo più poveri i ricchi e non viceversa.
Uno dei motivi per cui, dopo la crisi, l’Europa non è precipitata in un nuovo vortice di tariffe, isolamento economico e addirittura tensioni belliche, è il fatto che proprio per evitare gli errori degli anni Trenta, dopo la Seconda Guerra Mondiale abbiamo edificato istituzioni che hanno garantito la cooperazione e l’integrazione economica: l’Unione europea. Una costruzione che è merito della preveggenza di persone che avevano vissuto i disastri degli anni Trenta e ne avevano capito le cause. Su questo punto è Illuminante il libro di Ragnar Nurske, «International currency experience: lessons of the interwar period», scritto nel 1943. Se l’Ue non fosse esistita, dopo la crisi del 2008 i Paesi europei sarebbero probabilmente piombati nella trappola del protezionismo e di politiche disegnate per danneggiare i propri vicini in un gioco a somma negativa, ovvero un «sovranismo» aggressivo.
Non è facile rendersi conto di come il resto del mondo proceda in fondo assai bene, e si sia ripreso dalla crisi molto meglio di quanto ci si sarebbe aspettato negli anni bui del 2008-2011, osservando il mondo dal punto di vista dell’unico Paese, il nostro, il cui il reddito pro-capite non è ancora risalito al livello pre-crisi. Un livello già stagnante dopo un paio di decenni di crescita spenta e produttività ferma.
Continuare a criticare l’austerità del governo Monti attribuendogli la ragione di tutto ciò è ormai diventata un’operazione stucchevole. L’austerità di Spagna, Portogallo e Irlanda è stata molto più dura della nostra. Ma dopo una pausa più o meno lunga (assai breve in Irlanda che l’austerità l’ha fatta tagliando la spesa pubblica senza aumentare le imposte) questi Paesi ora crescono. Perfino la Grecia quest’anno cresce del 2,2 per cento. Noi no.
Il governo giallo-verde non è certamente responsabile dei decenni di stagnazione della nostra economia. Ma è responsabile di ingannare gli italiani vendendo come fossero un toccasana politiche che nulla faranno per aumentare la crescita, anzi la rallenteranno. Il reddito di cittadinanza redistribuisce una ricchezza che non cresce creando disincentivi a lavorare. Quota 100 redistribuisce reddito sottraendolo alle generazioni future (che non votano) e che già sono danneggiate dal debito pubblico, a favore di chi oggi invece vota e trae beneficio dal debito. La flat tax, già una promessa puramente propagandistica, si sta trasformando in una riforma fiscale confusa, a pezzi sconnessi, mentre ci sta cadendo sulla testa il macigno dell’aumento dell’Iva. Non solo. Il governo continua a illudere gli italiani che il ritorno dello Stato nel ruolo di imprenditore, a cominciare da Alitalia, possa aiutarci a crescere, scordando ad esempio che la Tav costa meno della metà di quanto lo Stato ha speso finora per salvare Alitalia: 11 miliardi (come stimano Andrea Giuricin e Carlo Stagnaro sul Foglio). Il cammino a ostacoli e ancora distante dalla meta del decreto sblocca-cantieri e di quello sulla crescita, mostra quanto il governo sia lontano dalle priorità del Paese che si chiamano sviluppo e lavoro.

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