16 Settembre 2024
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Dollari economia

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Una simile crisi difficilmente avrebbe potuto prodursi nell’Unione europea per la più attenta regolamentazione cui da alcuni anni sono soggette le nostre banche

La scossa al sistema finanziario americano prodotta ieri dal fallimento di una media banca della California, la Silicon Valley Bank (Svb), ci restituisce tre lezioni. Innanzitutto, che una simile crisi difficilmente avrebbe potuto prodursi nell’Unione europea per la diversa, e più attenta regolamentazione cui da alcuni anni sono soggette le nostre banche. In secondo luogo, ci insegna che occorre distinguere fra crisi di liquidità e insolvenze. La Svb ha subito una crisi di liquidità: come scrisse 150 anni fa Walter Bagehot, lo storico direttore del settimanale inglese The Economist, le crisi di liquidità si possono facilmente circoscrivere con l’intervento delle banche centrali. E infatti l’incendio ieri è stato circoscritto non appena la segretaria al Tesoro degli Stati Uniti, Janet Yellen, ha detto che era pronta ad accettare obbligazioni del governo federale come collaterale per un anno al loro valore di libro, indipendentemente dal valore di mercato, che nel frattempo era sceso causando il fallimento di Svb. Infine, ed è il terzo insegnamento, che la volatilità è una caratteristica dei mercati finanziari. Questi vanno sorvegliati, ma tentare di cancellarne la volatilità sarebbe un errore perché significherebbe porsi l’obiettivo di azzerare il rischio che è un aspetto essenziale dell’innovazione.
Come ha detto ieri Larry Summers: «Ci saranno conseguenze gravi per il settore dell’innovazione nell’economia statunitense se le autorità di regolamentazione non risolveranno senza problemi il crollo della Svb. Quello delle start-up tecnologiche è un settore abituato a rischiare e per questo molto dinamico», ha concluso Summers.
Ma come si è arrivati alla crisi di liquidità? La Svb era molto diversa dalle banche che fallirono nella crisi del 2008-9. Quindici anni fa le difficoltà delle banche erano legate a specifici investimenti, in particolare nel settore immobiliare di alcuni Stati americani. Quando vollero realizzare quegli investimenti si accorsero che le case ipotecate non valevano quasi nulla, e fallirono. Svb invece aveva investito in obbligazioni del governo americano, fra le più sicure al mondo. Erano esposte ad un solo rischio: quello associato ai tassi di interesse, cioè al rischio che un aumento repentino dei tassi, come quello verificatosi dalla metà del 2022, ne riducesse il valore e facesse partire una «corsa agli sportelli». Come nel film di Walt Disney «Mary Poppins» quando un ragazzino urla al vecchio banchiere che gli ha strappato di mano i suoi due penny: «Rivoglio i miei soldi». L’errore di Svb, e della Fed che lo consentì, fu di concentrare tutto il proprio portafoglio — circa 91 miliardi di dollari — in titoli a lungo termine (decennali, ventennali, etc), i più esposti al rischio di fluttuazioni nei tassi di interesse. Quando i tassi sono saliti, quei titoli, che il giorno in cui sarebbero scaduti avrebbero rimborsato 91 miliardi, ne valevano, se un investitore si fosse trovato a doverli vendere all’istante, 16 miliardi di meno.
È bastato che la Fed si impegnasse ad accettare obbligazioni del governo federale come collaterale non al prezzo di mercato, ma al loro valore di libro perché l’incendio venisse circoscritto. Non spento: gli incendi anche dopo essere stati fermati impiegano sempre qualche giorno a spegnersi. La Banca centrale americana, dopo aver parlato, di quei titoli non ne ha dovuto acquistare neppure uno, o assai pochi: per mitigare l’incendio è bastata la sua parola, come il «Whatever it takes» di Mario Draghi nel 2012. Janet Yellen ha parlato solo domenica sera, probabilmente ha dovuto attendere che i motivi del fallimento di Svp si chiarissero. Troppo tardi per fermare una corsa agli sportelli partita nella giornata di venerdì. A quel punto Svb era già fallita.
In Europa è più difficile che ciò accada perché i nostri supervisori, cioè la Bce, sottopongono la banche a test continui volti a verificarne la fragilità, e se vedono che i portafogli di una banca sono eccessivamente esposti, ad esempio al rischio di variazioni nei tassi di interesse, impongono una correzione del portafoglio o in alternativa un aumento di capitale o l’acquisto di un’assicurazione. Negli Stati Uniti invece, dopo le regole decise dall’amministrazione Trump, le banche, soprattutto le piccole banche regionali, sono esentate da questi test.
Il governo americano ha anche detto che avrebbe salvato tutti i depositanti delle banche fallite. Questo è un errore: negli Stati Uniti un’assicurazione federale già protegge tutti i depositi bancari fino ad un ammontare di 250 mila dollari. Se un investitore è così folle da depositare somme maggiori in una singola banca, è giusto che ne paghi le conseguenze. Soprattutto se, come è accaduto nel caso di Svb, quell’investitore è una società che gestisce una criptovaluta.
Resta da porsi un’ultima domanda. Quanto in là deve spingersi la regolamentazione? Non fino al punto di eliminare la volatilità dei mercati finanziari. È vero che questi mercati negli Stati Uniti sono molto volatili e spesso producono crisi che hanno effetti macroeconomici. Per questo motivo è importante che certi strumenti finanziari siano prerogativa di investitori professionali adeguatamente vigilati per evitare episodi di azzardo morale. Ma ci sarà una ragione perché gli Stati Uniti sono anche il Paese nel quale ci sono più start-up e più innovazione.
Molti vaccini mRNA, che ci hanno salvato dall’epidemia del Covid, sono stati inventati nelle start-up di Boston, non in Cina, dove vaccini efficaci ancora non esistono. E Whatsapp, il sistema di comunicazione quasi gratuito oggi usato da 2 miliardi di persone che in Paesi come l’India ha cambiato la vita degli abitanti, è esso pure il prodotto dell’innovazione americana. In Cina la volatilità dei mercati non è inferiore a quella di Wall Street e i disastri finanziari altrettanto gravi e frequenti. Ma non l’innovazione.

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