22 Novembre 2024

Fonte: La Repubblica

di Pietro del Re

Il conflitto entra nel decimo anno: il 15 marzo 2011 iniziavano le proteste. Cartlotta Sami, portavoce dell’Unhcr: “Per i rifugiati aprire dei canali sicuri e gestiti dagli Stati in modo costante e strutturato”

Oltre ad aver già provocato 384 mila morti, la guerra in Siria che oggi entra nel suo decimo anno ha anche causato il più gran numero di profughi dalla Seconda guerra mondiale, con più della metà della popolazione costretta sia a spostarsi all’interno del Paese sia a fuggire oltre frontiera. Dice Carlotta Sami, portavoce per Italia dell’Unhcr, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati: «Sono cifre spaventose perché il numero di chi è scappato all’estero ha raggiunto quota 5,5 milioni mentre gli spostati interni sono più di 6 milioni. Costituiscono il gruppo di rifugiati più grande al mondo. E la maggior parte di loro ha un solo desiderio: rientrare a casa loro». Pochi giorni fa, proprio sul sito di Repubblica, l’Unhcr ha lanciato il seguente appello ai 1.700 super milionari italiani: “Mobilitate le vostre risorse per salvare vite umane”.

La Turchia accoglie 3,6 milioni di profughi siriani. Ma di questi, solo una piccola parte vive nei campi allestiti anche con i soldi dell’Unione europea. E gli altri?
«Gli altri sono quelli che chiamiamo i “rifugiati urbani” sebbene non vivano necessariamente nelle città, ma su tutto in territorio turco, e quindi anche nelle campagne. La loro situazione è migliorata negli anni, perché adesso molti di loro lavorano o possono studiare frequentando l’università. Per gli altri siriani, ciò che preoccupa è che nonostante la solidarietà espressa dai Paesi vicini, la maggior parte di loro, ossia l’83%, vive al di sotto della soglia di povertà. L’altro aspetto inquietante è che molti bambini non vanno a scuola, il che compromette seriamente l’investimento sul futuro e renderà ancora più difficile ricostruire la Siria».

Ankara teme l’arrivo di altri profughi, quelli che ora vivono in condizioni disperate a Idlib, l’ultima provincia in mano alla rivolta, dove l’offensiva del regime spalleggiato dai caccia di Mosca ha recentemente provocato lo spostamento di circa 960mila persone. C’è chi parla della peggiore crisi umanitaria dal dopoguerra, con bambini che muoiono di fame e di freddo.
«Sì, dei bambini sono morti di freddo e adesso, con l’emergenza umanitaria si protrae nel tempo, si verificano sempre più numerosi casi di malnutrizione. Per questo qualche giorno fa abbiamo chiesto che almeno le persone che hanno più bisogno di cure vengano lasciate passare in Turchia. Dei 960 mila di sfollati di Idlib ce ne sono che vivono nelle tende che siamo riusciti a distribuire nelle ultime settimane, ma la maggior parte s’è sistemata in fattorie abbandonate o in edifici bombardati, che erano già occupati da altri profughi. Con il passare dei giorni la situazione non fa che peggiorare, perché ormai scarseggiano i mezzi di sussistenza. Ora, 4 su 5 di queste persone sono o donne o bambini».

Il Libano, con una popolazione di 4,5 milioni di persone, ospita 1,5 milioni di profughi, dei quali meno di un milione è iscritto presso la vostra agenzia. Anche lì, la maggior parte dei siriani vive in condizione molto precarie.
«Sì, perché anche in Libano la maggior parte dei rifugiati siriani non vive nei campi. Noi cerchiamo di aiutarli con quello che chiamiamo cash assistance, ossia con piccole somme di denaro con cui affittare un luogo per vivere e acquistare cibo. Ma in Libano il sistema sanitario è quasi tutto in mani private, perciò per i poverissimi i profughi siriani diventa davvero molto difficile garantire un’esistenza dignitosa a se stessi e alla propria famiglia.

Ci sono poi quelli che cercano di arrivare in Europa. E che magari finiscono parcheggiati a Lesbo. Che cosa si dovrebbe fare per alleviare le pene di chi scappando da una guerra si ritrova in campo sovraffollato, pieno di topi e dove servono un solo pasto al giorno?
«A Lesbo ci sono 36 mila profughi in un campo attrezzato per ospitarne meno di 5 mila. Da mesi chiediamo di trasferire 20 mila persone sulla terra ferma dove potrebbero essere sistemate in maniera dignitosa e dove ci sarebbe anche la possibilità di accoglierle in appartamenti. Purtroppo non si riesce a trovare la volontà politica per gestire con raziocinio e umanità un confine come quello: garantendo un flusso regolare di persone e accelerando le procedure di richiesta di asilo, e non, come ha invece deciso la Grecia, di sospenderle per i nuovi arrivati. Un’altra soluzione, era quella di trasferire i rifugiati nei vari Paesi europei, ma è stata scartata».

Ma c’è la disponibilità da parte delle nazioni ad aiutare quest’altra fetta di umanità sofferente?
«Nel 2019, abbiamo chiesto l’accoglienza in Paesi sicuri per 1,2 milioni di rifugiati, che sono i più vulnerabili tra i 25 milioni di  rifugiati planetari. Ebbene da tutta la comunità internazionale abbiamo ricevuto un’apertura per appena 55mila posti. Per risolvere situazioni come quella drammatica di Lesbo bisogna aprire dei canali sicuri e gestiti dagli Stati in modo costante e strutturato».

Come complica il vostro lavoro il fatto che nella guerra in Siria siano coinvolti gli eserciti di più Paesi: siriano, russo, turco, iraniano e libanese di Hezbollah?
«A Idlib i nostri interventi sono limitati per ovvie ragioni di sicurezza. In questo momento c’è un cessate il fuoco che ci semplifica il lavoro, ma l’attività umanitaria in quella zona è ancora fortemente condizionata proprio per il fatto che ci sono molti attori in aperto conflitto tra loro».

Quanti profughi siriani torneranno a casa, il giorno che la guerra finirà?
«Ogni volta che ho incontrato dei profughi tutti mi hanno sempre detto di voler rientrare appena possibile in Siria. E’ un desiderio molto radicato nella diaspora siriana».

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