Fonte: Corriere della Sera
di Goffredo Buccini
Di fronte al caso Lucano, potrebbero aprirsi gravi contraddizioni nel partito: bisogna fare una scelta essenziale che va ben oltre il tema delle migrazioni
Il caso Riace, col suo fardello di ambiguità politica, potrebbe aprire gravi contraddizioni nel campo del partito democratico proprio ora in via di restauro. Matteo Salvini, che ha contribuito a farlo deflagrare decidendo, dopo l’arresto del sindaco Lucano, di chiudere lo Sprar citato da molti quale modello d’accoglienza, può limitarsi infatti a giocare di rimessa. E ad esibire anche una certa «magnanimità», facendo subito specificare agli uffici del Viminale che il trasferimento dei migranti ancora ospiti del paesino calabrese non sarà forzoso ma volontario: chi vorrà potrà rimanere, conscio tuttavia che il ministero ha abbassato la saracinesca lamentando opacità contabili, caos tra i servizi descritti e quelli davvero erogati, disordine nella banca dati e perfino negli elenchi di chi al progetto era ammesso; in sostanza ricalcando le accuse mosse a Mimmo Lucano (nella foto) dalla Procura di Locri (ma in buona parte contraddette dal gip che pure ha disposto i domiciliari per il sindaco).
Il problema, a questo punto, è di configurazione giuridica: oggi il Riesame dirà la sua sulla liberazione di Lucano. Ma neppure il sindaco più amato dalla sinistra radicale, salutando a pugno chiuso i supporter sotto la sua finestra, si sogna di negare di avere gestito in modo piuttosto disinvolto il potere che aveva nelle mani, convinto com’è che ciò che conta non sia la legalità («anche nei lager di Hitler c’era… legalità») ma la giustizia, quella vera, sostanziale e, verrebbe da dire, popolare. Il gip ha motivato non a caso il pericolo di reiterazione del reato con la sua pacifica ostinazione a commettere (a fin di bene, s’intende) qualsiasi reato serva ad aiutare i migranti, sia pure sotto i riflettori dei pm e della pubblica amministrazione.
Quanto ascendente avesse su quest’ultima, almeno in Calabria, è dimostrato da una sorprendente relazione prefettizia dopo la prima ispezione del 26 gennaio 2017. Premettendo di allontanarsi dallo «stretto criterio burocratico» per meglio descrivere il «fenomeno» Riace, i quattro ispettori di Reggio, senza mai citare un solo dato concreto, scrivono un peana sociologico su Lucano («un uomo che ha combattuto battaglie personali e raccolto riconoscimenti internazionali di assoluto prestigio»), con alcune chicche: «La pluriclasse è un tripudio di razze dietro i banchi della scuola»; nei telai dei laboratori «si scorge chiaro il volto dell’Africa»; a pranzo in una casa Sprar «un abile cuoco sahariano» prepara «quattro bei piatti colmi di pizza fumante» e dunque «complimenti d’obbligo al cuoco anche per il delizioso profumo che attraversa la casa» (sic). Magari mancherà «un controllo ferreo di tutte le attività svolte», ma che sarà mai?
Altre ispezioni e relazioni più rigorose seguiranno, con gli esiti noti. Ma se un tale afflato ideologico può sedurre persino seri funzionari dello Stato, si può capire quale sia il bivio politico davanti al Pd che verrà, soprattutto nell’eventuale sfida tra Nicola Zingaretti e Marco Minniti. Il governatore del Lazio ha dato il tono ai commenti più visibili: «Quello compiuto da Salvini è un atto immondo». Minniti (ministro in carica quando il Viminale avviò le ispezioni su Lucano) uscirà il 6 novembre con un libro dal titolo eloquente, «Sicurezza è libertà», e il suo collaboratore più fidato, Mario Morcone, spiega alla nostra Fiorenza Sarzanini che Lucano era in «delirio da sovraesposizione». Al netto di una ovvia, comune esigenza di bandiera — attaccare l’uomo forte del governo legastellato — il bivio è qui e la scelta sarà essenziale nell’identità del nuovo partito ben oltre il tema delle migrazioni: quanto conta la solidarietà e quanto la legalità? In nome della prima ci si può «distrarre» dalla seconda? E con chi si dialogherà meglio, coi movimenti salutati da Lucano con un «hasta siempre» o con la società civile che vede in un’accoglienza sbagliata motivo di apprensione? Già, perché poi ci sarebbe pure un’altra accoglienza Sprar, altri paesini di montagna (si veda il caso virtuoso di Petruro Irpino) ripopolati senza violare la legge, da migranti e italiani di ritorno. Magari meno epici perché lì le mani, anziché levarsi a pugno chiuso, compilano registri nel difficile e poco eroico tentativo di far quadrare i conti. Il bivio di Riace s’affaccia su due idee di mondo.