Fonte: Corriere della Sera
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Gli stereotipi esistono, e condizionano l’atteggiamento verso l’Italia: delle istituzioni sovranazionali, dei mercati, dell’opinione pubblica internazionale
Il sollievo con cui governi, organizzazioni internazionali e mercati, in Europa e negli Stati Uniti, hanno accolto l’incarico a Mario Draghi è confortante, per l’Italia. Ma è direttamente proporzionale al loro stupore e alla loro preoccupazione. Perché una crisi di governo in questo momento? Nel corso di una pandemia, nel mezzo di una campagna di vaccinazione, quando mancano meno di tre mesi alla presentazione del piano per utilizzare i denari europei, di cui siamo i principali beneficiari? Cosa succede, in Italia?
Mario Draghi — ex-presidente della Banca Centrale Europea, salvatore dell’euro — è probabilmente l’italiano più prestigioso nel mondo, oggi. E costituisce una garanzia, non c’è dubbio. Ma è l’ultima che possiamo fornire. Dopo di lui, ci sono soltanto le elezioni, che comportano i ritardi e rischi spiegati martedì sera dal presidente Sergio Mattarella (preoccupato, paziente e didattico).
Fuori dai nostri confini, però, non ci sono soltanto governi, organizzazioni internazionali e mercati. Esiste anche un’opinione pubblica che, in tempi normali, è spesso superficiale. In questo periodo è addirittura brutale. Ogni Paese sta affrontando i suoi problemi (sanitari, economici, politici). Non ha tempo anche per i nostri.
Cerchiamo perciò di essere onesti con noi stessi (è la miglior forma d’amore di patria, scriveva Luigi Barzini Jr). Esiste il pericolo che l’Italia — con tutti gli sforzi che ha fatto nell’ultimo anno, con la storia e il peso che ha — venga trattata come un caso folkloristico. Non è un’esagerazione, purtroppo. L’incarico a Mario Draghi ha allontanato il pericolo, per adesso. Ma il pericolo esiste.
Nelle ultime tre settimane — dall’inizio di questa bizzarra crisi di governo — ho letto, ho ascoltato, ho partecipato a seminari, incontri, discussioni, conversazioni: con la Commissione Europea, con associazioni e università negli Usa; con dirigenti di grandi aziende che tengono all’Italia; con colleghi e amici inglesi, francesi, polacchi, spagnoli, americani. Gente diversa, temi diversi, momenti diversi, una sola costante: ah, voi italiani! Non siete ancora stanchi di giocare alle crisi di governo?
Cosa rispondere? Che questa crisi è speciale? Che il prossimo governo italiano — il 67esimo in 75 anni, tredici mesi e mezzo di vita media — sarà eccezionalmente stabile, e farà quanto l’Europa s’aspetta e l’Italia merita? Ripetiamolo: la scelta di Mario Draghi è rassicurante, ma il timore resta. «Il momento è difficile», ha detto il presidente del Consiglio incaricato, con ammirevole understatement.
Le preoccupazioni per l’Italia sono diverse. Le più genuine vengono da Bruxelles. Entro il 30 aprile, per ottenere i fondi del Next Generation Eu, dobbiamo presentare all’Unione Europea il nostro Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), che avrà bisogno di due passaggi parlamentari. Anche nella versione più recente (12 gennaio 2021), appare insufficiente. È un ambizioso, fascinoso, generico libro dei sogni, lungo 167 pagine. Ma non si capisce cosa vogliamo fare, né quanto, né quando, né come, né con chi.
Certamente il Pnrr — meglio noto come Recovery Plan — verrà rivisto dal nuovo governo. Restano i danni reputazionali: non possiamo sbagliare ancora. Una nazione, come qualsiasi organizzazione, ha un’immagine, dalla quale derivano stima e fiducia. Sull’Italia — inutile nasconderselo — esiste un sospetto metodico di inaffidabilità. Che si è ridotto, in anni recenti, grazie a tanti connazionali di valore nel mondo. Ed è diminuito ancora durante l’anno della pandemia, durante il quale gli italiani — se non tutti, molti — hanno dato buona prova di sé. Mostrando pazienza, e talvolta ne è servita molta.
Pensate alla terza ondata, invernale, del Covid: l’abbiamo affrontata meglio di altri, per ora. I dati italiani dei contagi e dei decessi sono migliori di quelli del Nord Europa. Anche grazie al governo, che ha ascoltato le ansie documentate del Comitato Tecnico Scientifico; e agli italiani, che tra Natale e l’Epifania hanno accettato grandi sacrifici, personali e familiari. Italiani di ogni età, di ogni estrazione, di ogni reddito e di ogni opinione. Tra loro, come sappiamo, molti erano infastiditi dalle restrizioni. Ma, in larghissima maggioranza, le hanno rispettate. Questo è il capitale che non possiamo buttare via.
Il professor Draghi, che da cinquant’anni gira il mondo, lo sa: gli stereotipi nazionali sono superficiali, e spesso feroci. Ma esistono, e condizionano l’atteggiamento verso un Paese: delle istituzioni sovranazionali, degli altri Paesi, dei mercati, della frettolosa opinione pubblica internazionale. Una rapida e buona soluzione della crisi di governo è perciò cruciale. L’Europa e il mondo non hanno tempo, né voglia, di aspettare di conoscere quale ministro occuperà quale ministero. Vogliono sapere se l’Italia è seria, e possono fidarsi.