19 Settembre 2024

Indagine Inapp tra gli operatori:in media passano 4 mesi e mezzo tra l’autorizzazione Inps ad avere il RdC e la presa in carico da parte dei Centri per l’impiego

Solo per una percentuale compresa tra il 3% e l’8% dei percettori il Reddito di cittadinanza ha prodotto risultati in termini di attivazione lavorativa o di offerta formativa. Su questi numeri incidono negativamente le gravi carenze dei Centri per l’impiego, che rappresentano la porta d’accesso dei beneficiari del sussidio considerati “occupabili”: tra l’autorizzazione ad ottenere il RdC rilasciata dall’Inps e la presa in carico del beneficiario da parte dei Cpi in media trascorrono circa 4 mesi e mezzo. Solo la metà dei Cpi (51,6%) risulta in condizione di convocare entro i 30 giorni prescritti dalla norma i beneficiari della misura.

Al Sud passano circa 5 mesi e mezzo per la presa in carico da parte dei Cpi
Mentre il governo ha annunciato che dal 2024 verrà cancellato il Reddito di cittadinanza, sostituito da un nuovo strumento che con fatica il ministro del Lavoro, Marina Calderone, da mesi sta cercando di definire, una fotografia dello stato dell’arte, con le gravi carenze, è scattata dall’Inapp che ha realizzato un’indagine interpellando gli stessi erogatori dei servizi, evidenziando come l’attuazione è caratterizzata da una accentuata eterogeneità territoriale. I tempi di presa in carico da parte dei Cpi naturalmente risentono del volume di utenza che caratterizza i diversi territori sicché risultano più ridotti al Nord, dove l’attesa mediamente è di 3 mesi e mezzo, mentre al Sud si approssimano intorno ai 5 mesi e mezzo.

Le gravi carenze nei sistemi informativi dei Cpi
Un primo grande ostacolo è rappresentato dalle banche dati delle varie amministrazioni coinvolte che non dialogano tra loro. L’85,5% dei Cpi dichiara di non avere una dotazione informatica in grado di dialogare con il Sistema informativo unitario dei servizi sociali (Siuss), il 74% con i sistemi informativi territoriali, il 57% non ha un sistema interoperabile con l’Inps e solo il 44% dialoga con il Sistema informativo unitario delle politiche per il lavoro (Siupl). Le informazioni, in questo contesto non possono circolare tra gli attori a vario titolo coinvolti.

Solo per un terzo degli Ats i sistemi informativi sono interoperabili con l’Inps
Anche sul versante degli Ambiti territoriali sociali, si riscontrano analoghe carenze. Solo un terzo degli Ambiti sostiene che i propri sistemi informativi siano interoperabili con quelli dell’Inps mentre una quota inferiore dichiara di possedere sistemi operativi interoperabili con Servizi sanitari e/o con quelli territoriali. Il 57,1% degli Ats dichiara il proprio sistema informativo interoperabile con le piattaforme digitali previste dalla normativa RdC per la gestione dei Patt, il 51,9% con il Sistema informativo unitario dei servizi sociali (Siuss). Il 71,3% degli Ambiti non ha sistemi informativi interoperabili con il Sistema informativo unitario delle politiche per il lavoro (Siupl).

Mancano le risorse umane e le competenze
Nel caso degli Ats il 71% ritiene che le proprie risorse umane non siano sufficienti a rispondere adeguatamente ai bisogni dell’Ufficio, dato in peggioramento se confrontato con precedenti rilevazioni. In termini di adeguamento delle competenze occorrerebbe una formazione specifica per poter svolgere i compiti oggi richiesti: le competenze in cui si riscontrano maggiori carenze (in oltre il 40% dei casi) sono quelle legate alla digitalizzazione e all’informatica. Sul versante dei Cpi viene segnalata una carenza strutturale di personale in oltre il 67% dei casi. Per far fronte al complesso degli impegni occorrerebbero mediamente più di 26 addetti per singolo Cpi, di cui circa 7 dedicati al solo RdC.

Identikit dei beneficiari:60% sono donne, in prevalenza del Sud
Tra i beneficiari delle misure di sostegno al reddito, secondo l’indagine Inapp il 60% sono donne, con un’età media di 49 anni. La distribuzione per macro-aree su territorio nazionale risulta pressoché equamente ripartita tra nord, centro, sud e isole, con una maggiore presenza nel sud (33,7%). Bassa la quota di soggetti dell’area extraeuropea; l’85,9% proviene da paesi dell’area europea. Si tratta di soggetti caratterizzati da un livello di istruzione basso, e poco qualificati dal punto di vista della qualifica professionale. Il 78% di coloro che dichiarano di essere occupati ha un basso profilo professionale.

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