Il Partito popolare vince, ma solo sulla carta: non ha i numeri per governare. Il socialista Sanchez smentisce i sondaggi e resiste. Male Vox. Feijóo: «Fateci governare». E i catalani di Junts potrebbero essere decisivi
La Spagna esce dalle urne spaccata in due, con un vincitore formale, il Partito popolare guidato da Alberto Nuñez Feijóo, che però dovrà probabilmente lasciare la guida del governo all’avversario socialista. Il «resistente» Pedro Sánchez incassa una incredibile rimonta rispetto ai sondaggi della scorsa settimana e vince la scommessa che l’ha portato a convocare le elezioni anticipate in piena estate, con cinque mesi d’anticipo rispetto alla scadenza naturale, dopo la batosta alle municipali e regionali dello scorso 28 maggio.
Con il 100% dei voti scrutinati, il Pp ha 136 seggi (33,05% dei voti) e il Psoe 122 (31,7%). Il distacco in termini di voti è addirittura inferiore, a causa del complesso sistema di ripartizione dei seggi.
La Grande svolta politica non è più alle porte. Neppure l’alleanza con l’estrema destra di Vox, sceso da 52 a 33 seggi (12,4%), permette al Pp di conquistare la maggioranza assoluta di 176 deputati per insediarsi alla Moncloa, il palazzo del governo. A sorpresa, invece, tiene nel suo complesso la coalizione a guida Psoe che governa il Paese dal 2019.
Buona la performance di Sumar alla sua sinistra, la neonata coalizione guidata dalla vicepremier Yolanda Diaz, in cui è confluito Podemos, che si attesta al quarto posto con 31 seggi (12,3%).
Vox si conferma terzo partito di Spagna ma probabilmente sfuma il sogno di diventare partito di governo a livello nazionale, come invece è riuscito a fare in molti comuni e nelle regioni dell’Estremadura e di Valencia dopo il voto amministrativo.
Feijóo però non si arrende e rivendica «il diritto del Pp di formare il governo», come leader del partito più votato, tornando a chiedere al Psoe un patto di neutralità. «Dopo sette anni, il Pp torna a vincere», ha detto nella notte dal palco montato in calle Genova a Madrid, sede nazionale del partito, davanti ad una piccola folla armata di bandiere spagnole. «Lavorerò per evitare lo stallo. Il nostro obbligo ora è che non si apra un periodo di incertezza in Spagna. È mio dovere da subito aprire il dialogo e cercare di governare il nostro Paese in conformità con i risultati elettorali».
Mezz’ora prima, Sánchez si era presentato in jeans ai sostenitori che davanti alla sede del Psoe «celebravano» in un tripudio di bandiere rosse una sconfitta che ha il sapore della vittoria. «Abbiamo dimostrato al mondo che siamo una grande democrazia», ha detto. «Il blocco involuzionista ha fallito. Il machismo e l’arretramento delle libertà sono stati sconfitti, noi siamo molti di più», ha concluso il capo di governo uscente, mettendo in chiaro che non ci sono margini di dialogo con il Pp.
Ora la patata bollente passa al re Felipe VI che aprirà le consultazioni e quindi indicherà il nome del politico incaricato di formare il governo. Nei due campi, partiranno subito trattative intense ma, in questo scenario, Sánchez è favorito rispetto a Feijóo, che sulla carta ha un unico alleato possibile, Vox.
Ieri, il leader Santiago Abascal ha attaccato duramente Sánchez, che «pur avendo perso» può ottenere la nomina del re «con l’appoggio del comunismo, del separatismo golpista e del terrorismo».
I prossimi saranno giorni difficili per la democrazia spagnola. Un assaggio viene dal partito catalano Junts, che guidò il tentativo separatista nel 2017: «Non faremo Sánchez premier in cambio di nulla». I loro 7 voti potrebbero essere decisivi.