24 Novembre 2024

Fonte: La Repubblica

Reuters - La Stampa

di Alessandro Oppes

Svolta dopo dieci mesi di stallo politico e l’apertura dei socialisti. Il re Felipe VI ha dato il via libera al leader del Partito Popolare per formare il nuovo esecutivo. Ma non potrà contare sulla maggioranza dei seggi: con i 137 deputati del Pp, i 32 dei centristi di Ciudadanos e un voto dalla Coalición Canaria, raggiunge 170 voti su 176: dovrà quindi negoziare di volta in volta tutti i principali provvedimenti

Sabato prossimo la Spagna avrà un capo del governo nella pienezza delle sue funzioni, dopo oltre dieci mesi di stallo politico. Come ampiamente previsto, al termine di una tornata di consultazioni-lampo, il re Felipe VI ha assegnato a Mariano Rajoy l’incarico di formare il nuovo esecutivo. Il leader del Partito Popolare, la formazione più votata alle legislative del 26 giugno scorso, ha accettato senza riserva consapevole del fatto che – a differenza di quanto accaduto nell’agosto scorso con la sessione d’investitura fallita – questa volta l’astensione del Psoe decisa dal comitato federale di due giorni fa gli spianerà la strada verso la riconferma alla Moncloa.
Rajoy assicura che il suo obiettivo è quello di portare a termine la legislatura (la scadenza naturale è nel 2020), ma molto dipenderà dall’atteggiamento delle forze politiche che potrebbero ostacolare non poco la normale attività di governo. Se infatti i socialisti – dopo aver forzato le dimissioni del segretario generale Pedro Sánchez che insisteva sul “no è no” al Pp senza tuttavia offrire un’alternativa per la governabilità – hanno alla fine optato per l’astensione nei confronti di un esecutivo conservatore, fin d’ora assicurano che non faranno sconti a Rajoy e si manterranno all’opposizione.
Il nuovo governo – che prenderà forma all’inizio della prossima settimana con il giuramento dei ministri davanti al re – non potrà contare sulla maggioranza dei seggi parlamentari: ai 137 deputati del Pp si uniscono i 32 della formazione centrista Ciudadanos (che nei mesi scorsi aveva firmato un patto programmatico in 150 punti con i popolari) e l’unica deputata di Coalición Canaria. In tutto, 170 su una maggioranza alle Cortes che è di 176 parlamentari. Questo costringerà Rajoy a negoziare volta per volta tutti i principali provvedimenti.
E anche se il premier riconfermato assicura che prediligerà la politica della mano tesa per favorire il numero più alto possibile di accordi (o compromessi), la possibilità che si formino maggioranze alternative è sotto gli occhi di tutti. Ad esempio, su temi come le contestatissime riforme del mercato del lavoro, della legge educativa o di quella sulla sicurezza dei cittadini (la cosiddetta legge bavaglio) è possibile che Psoe e Podemos, in questo momento ai ferri corti, ritrovino una strada comune anche con l’appoggio di altre forze (soprattutto nazionalisti catalani e baschi), mettendo in seria difficoltà l’esecutivo di minoranza.
Sul Psoe – che entro la prima metà del 2017 dovrà convocare un congresso straordinario per eleggere il nuovo segretario – pesa però ancora la minaccia di una frattura interna difficile da sanare. Potrebbero essere fino a diciotto, su un totale di 85, i deputati ribelli che si rifiuterebbero di accettare il voto per l’astensione nei confronti di Rajoy. In tal caso, se il direttorio provvisorio guidato dal governatore delle Asturie Javier Fernández dovesse rispondere applicando la mano dura al punto da espellere i deputati che verrebbero relegati nel gruppo misto, per il Psoe si aprirebbe un doppio problema: non solo il partito ne uscirebbe ulteriormente indebolito proprio nel momento più difficile degli ultimi trent’anni, ma Podemos, con i suoi 71 deputati, diventerebbe di fatto la prima forza dell’opposizione.

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