Fonte: Corriere della Sera
di Paolo di Stefano
Si moltiplicano gli appuntamenti ma in un Paese che affolla ogni manifestazione culturale quasi non si legge
Gli assenti non possono immaginare quale entusiasmo, quale aria di festa, quanto interesse aleggiasse tra le migliaia di visitatori di «Tempo delle Donne» alla Triennale di Milano. Impressionante. Persone curiose, attente, rispettose nell’ascolto. E in contemporanea, lo stesso al Festival di Mantova, sempre in ascesa, con code e tutto esaurito ovunque. Tre giornate esaltanti a Milano, cinque giorni esaltanti a Mantova. E fra poco verranno la filosofia a Modena e la letteratura a Pordenone. Saranno pure lì giornate esaltanti, ricche di discussioni, letture, idee, romanzi, saggi, poesia, arte: «non è detto che sia vietato pensare a una stagione nuova: se ci sarà, verrà da quelli che leggono», si legge nella presentazione di Pordenonelegge. Fatto sta che da anni non c’è alcun rapporto tra la caterva di biglietti staccati nelle feste del libro e i libri letti durante l’anno. Sempre meno. Sabato scorso, Bruno Ventavoli sulla «Stampa» segnalava il paradosso. Com’è possibile che in un Paese che affolla ogni manifestazione culturale non si legga quasi? L’incontro con lo scrittore, piacevole, divertente, istruttivo, rende superflua l’immersione nel libro?
Forse. La lettura è un esercizio lento e individuale, l’opposto che partecipare a una festa. A meno che non si torni all’antica usanza dell’oralità e dell’ascolto collettivo: non è escluso. Ma la discussione attorno al testo non è esperienza del libro, grazie al quale per secoli l’essere umano ha organizzato la conoscenza e l’informazione complessa. Ora che comincia il nuovo anno scolastico con un nuovo governo, si spera che venga meno la tentazione dell’ennesima riforma della riforma precedente. E che si eviti il solito esercizio retorico sull’importanza dell’inglese e del digitale. Piuttosto, come consiglia Gino Roncaglia ne L’età della frammentazione (Laterza), si progettino belle biblioteche scolastiche, capaci di diventare piacevoli luoghi di lettura, di apprendimento, di ricerca, di selezione e di valutazione delle fonti, di gioco, di incontro, di discussione. Ovviamente, dovrebbero disporre di personale specializzato; non solo di classici, ma di fantasy, graphic novel, fumetti, videogiochi, abbonamenti cartacei e digitali a quotidiani e riviste. Spazi «vivi e vivaci, aperti, inaspettati, sociali; punti di diffusione e non luoghi di reclusione dei libri…». E tanto meno dei possibili lettori.
Forse. La lettura è un esercizio lento e individuale, l’opposto che partecipare a una festa. A meno che non si torni all’antica usanza dell’oralità e dell’ascolto collettivo: non è escluso. Ma la discussione attorno al testo non è esperienza del libro, grazie al quale per secoli l’essere umano ha organizzato la conoscenza e l’informazione complessa. Ora che comincia il nuovo anno scolastico con un nuovo governo, si spera che venga meno la tentazione dell’ennesima riforma della riforma precedente. E che si eviti il solito esercizio retorico sull’importanza dell’inglese e del digitale. Piuttosto, come consiglia Gino Roncaglia ne L’età della frammentazione (Laterza), si progettino belle biblioteche scolastiche, capaci di diventare piacevoli luoghi di lettura, di apprendimento, di ricerca, di selezione e di valutazione delle fonti, di gioco, di incontro, di discussione. Ovviamente, dovrebbero disporre di personale specializzato; non solo di classici, ma di fantasy, graphic novel, fumetti, videogiochi, abbonamenti cartacei e digitali a quotidiani e riviste. Spazi «vivi e vivaci, aperti, inaspettati, sociali; punti di diffusione e non luoghi di reclusione dei libri…». E tanto meno dei possibili lettori.