22 Novembre 2024

Fonte: La Stampa

di Giordano Stabile

Ci sarebbe il «National Tawheed Jamaath» dietro gli otto attentati simultanei. Oltre 300 morti. Il governo: gli attacchi permessi da una rete internazionale


Una Pasqua di sangue in Sri Lanka per gli otto attentati compiuti in simultanea alle 8.45 di mattina, sei nella capitale Colombo e altri due a Negombo e Batticaloa. A essere colpiti sono state cinque chiese e tre resort di lusso frequentati anche da occidentali.
Il responsabile della strage sarebbe un gruppo jihadista locale che ha ricevuto sostegno e ispirazione dal «terrorismo internazionale», cioè dall’Isis o da Al Qaeda. In un giorno e mezzo di indagini le autorità cingalesi, con l’aiuto dei servizi di mezzo mondo, in particolare americani, hanno tracciato l’identikit dei terroristi che la domenica di Pasqua hanno messo a segno il più sanguinoso assalto jihadista mai compiuto in Asia meridionale, il peggiore dopo l’11 settembre.

Il marchio del Califfato
E se le stragi di turisti negli hotel di lusso ricordano l’attacco a Mumbai del novembre 2008, il massacro nelle chiese il giorno di Pasqua ha il marchio dell’Isis, sulla falsariga di quelli in Egitto di due anni fa o nella Domenica delle Palme l’anno scorso. Ieri il bilancio degli otto attacchi coordinati è di oltre 300 morti, 36 stranieri, i feriti sono 500.
Molto dell’identikit deriva dai nomi dei sei attentatori suicidi, che comprenderebbero un noto predicatore sostenitore dell’Isis. Il gruppo locale è il National Tawheed Jamaath, che nel nome fa riferimento al tawhid, cioè l’unicità di Dio, uno dei segni distintivi dei movimenti jihadisti. Unicità che i militanti dell’Isis sottolineavano con il gesto dell’indice sollevato, divenuto segno di morte e distruzione.

Il network «esterno»
Per il ministro della Salute e portavoce del governo cingalese Rajitha Senaratne c’è però «una rete internazionale che ha permesso questi attacchi, che altrimenti non avrebbero potuto essere compiuti». Anche il tipo di obiettivi conduce alla pista internazionale. Come spiega Amarnath Amarasingam, analista allo Sri Lankan Institute for Strategic Dialogue, «la scelta dei bersagli e il tipo di attacchi mi rendono molto scettico sul fatto che siano stati condotti da un gruppo locale senza un coinvolgimento esterno». Anche perché «non ci sono ragioni per una formazione locale per attaccare chiese».
A quasi due giorni dal massacro manca però una rivendicazione e sembra strano che l’Isis non ne approfitti. Ma non sarebbe la prima volta che un attacco viene rivendicato con un certo ritardo, specie se ci sono cellule ancora attive che rischiano di essere compromesse. E per il Dipartimento di Stato americano è certo che «gruppi terroristici» continuano a pianificare attacchi nel Paese, specie in «luoghi di culto, località turistiche, centri commerciali, aeroporti e altre aree pubbliche».
Ieri è stata fatta esplodere dagli artificieri una bomba in furgone vicino a una chiesa a Colombo, mentre la polizia ha trovato 87 detonatori in una stazione di autobus a Pettah.

L’uomo chiave
Le indagini sarebbero concentrate sulla figura di uno dei sette kamikaze, Moulvi Zahran Hashim, noto predicatore filo-Isis e uno dei leader Tawheed Jamaath. La sua identificazione non è ancora ufficiale ma sarebbe stata confermata dagli investigatori a media americani. Hashim era già indagato per l’organizzazione di un mancato attacco contro un obiettivo indiano, quattro mesi fa. E l’India è uno dei fronti scelti dal capo dell’Isis Abu Bakr al-Baghdadi per perpetuare il califfato dopo la disfatta in Siria e Iraq. L’Isis nella provincia del Khorasan include l’India Occidentale e il suo campo di operazioni riguarda tutto il subcontinente. Lo Sri Lanka appare marginale ma possiede alcune caratteriste interessanti per i jihadisti.

Contrasti interni
Il Paese è lacerato da divisioni etniche e religiose che hanno portato a una guerra civile durata una generazione, dal 1983 al 2009. Il conflitto ha visto la maggioranza cingalese di fede buddista, circa il 70 per cento della popolazione, confrontarsi con l’insorgenza della minoranza Tamil, per metà induista e per il resto di fede islamica o cristiana. I musulmani sono circa l’8 per cento, i cristiani il 7. La pace raggiunta dieci anni fa è precaria e gli estremisti hanno interesse a riaccendere le tensioni settarie. Lo Sri Lanka dovrà affrontare entro il 9 dicembre di quest’anno le elezioni legislative, seguite a stretto giro da quelle presidenziali. Il mandato del presidente Maithripala Sirisena scade il 9 gennaio. Lo stesso presidente ha decretato ieri lo stato d’emergenza nazionale, una misura che rafforza il potere dei militari e accentua le tensioni fra capo dello Stato e governo. Il portavoce dell’esecutivo Senaratne ha di fatto accusato Sirisena di aver ignorato gli allarmi dei servizi su possibili attacchi, lanciati «già quattordici giorni fa».

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