19 Settembre 2024
europa parliamento 1

europa parliamento 1

europa parliamento 1

Si cerca compromesso sullo stato di diritto, Budapest e Varsavia minacciano ritorsioni. L’idea di bloccare fondi in una seconda fase

Ufficialmente dalla Commissione Europea dicono che ancora non hanno preso una decisione sui piani di ripresa e resilienza di Ungheria e Polonia, ‘congelati’ a Bruxelles da prima dell’estate per violazioni dello stato di diritto, come per esempio le campagne e i provvedimenti anti-Lgbtq nei due paesi dell’est. Eppure, alla ripresa dopo la pausa estiva, la fine del mese di settembre era stata indicata dalla stessa Commissione Europea come la scadenza entro la quale sarebbe arrivata una decisione. Non è andata così, c’è un ennesimo rinvio. La decisione dovrebbe essere presa nelle prossime settimane, ma la novità, dopo l’alta tensione nei mesi scorsi sia con l’ungherese Viktor Orban che con il polacco Mateusz Morawiecki, è che a Palazzo Berlaymont si sta prendendo in considerazione l’idea di promuovere entrambi i piani, il che farà scattare la prima tranche di finanziamenti (il 13 per cento del totale). Poi, magari il blocco scatterà in un secondo momento per altre tranche di risorse del Next Generation Eu.
Alla scadenza della fine di settembre si è arrivati per aspettare l’esito delle elezioni tedesche del 26 settembre scorso. A Bruxelles non si fa mistero del fatto che il voto in Germania abbia bloccato un bel po’ di dossier. Per cui la decisione sul piano ungherese che doveva arrivare alla fine di luglio è slittata a questi giorni di fine settembre. L’ulteriore rinvio è scattato anche per via dell’incertezza sul prossimo governo a Berlino.
“Sono in corso trattative di livello tecnico” con Budapest e Varsavia sui rispettivi piani di ripresa e resilienza, dicono i portavoce della Commissione Europea che non si esprimono sull’altro livello di negoziato: quello politico. “No comment”. Ma, a quanto si apprende da fonti Ue, è questo il tipo di confronto che sta andando avanti adesso con le autorità ungherese e polacca. Niente di nuovo: succede in ogni trattativa tra Bruxelles e gli Stati membri. C’è però un elemento particolare del caso ungherese che pesa sul tutto: le elezioni dell’anno prossimo.
Conviene bocciare il piano ungherese per sanzionare le violazioni dello stato di diritto negando nuovi fondi europei a Orban? O piuttosto si corre il rischio di aiutare la sua campagna elettorale al grido di ‘Bruxelles strangola l’Ungheria’? È questa la riflessione in corso, lontano dalle ammissioni formali. Ed è anche per questo che con Budapest le autorità europee stanno tentando di raggiungere un compromesso, consapevoli che il sistema sul quale è organizzato il Next Generation Eu permette di bloccare future tranche di finanziamenti, se i progetti non saranno realizzati e le scadenze non rispettate. Ecco perché al momento prevale l’ipotesi della promozione, più che della bocciatura, mentre Orban accusa Bruxelles di “ricatto” contro l’Ungheria.
Con la Polonia la questione è più semplice perché non ci sono elezioni in vista e perché le autorità stanno lanciando dei piccoli segnali positivi. Per esempio, la scorsa settimana, l’autorità di regolamentazione delle emittenti polacche ha esteso una licenza operativa per il popolare canale di notizie anti-governativo di proprietà degli Stati Uniti Tvn24, benché si sia chiesto se avesse il diritto di continuare a operare, rimandando la decisione al governo. Inoltre, tre giorni fa, tre consigli regionali della Polonia hanno deciso di smettere di essere zone vietate agli Lgbtq.
Certo, il governo di Varsavia sta usando anche le maniere forti per convincere Bruxelles a sganciare la prima tranche di finanziamenti del recovery fund. I sovranisti al governo fanno sapere di aver già “compilato una lista di tutti i dossier europei che richiedono l’unanimità” tra gli Stati membri e che quindi la Polonia può “bloccare con il veto”, in caso di bocciatura del piano di ripresa e resilienza. Per esempio, le tasse comuni che serviranno a finanziare il debito del Next Generation Eu e tanti altri.
Se questo è lo scenario, la bilancia europea si posiziona quasi automaticamente sul sì ai due piani contestati, almeno per ora. Sono in tutto 5 i piani di ripresa presentati e ancora non approvati dalla Commissione Europea: oltre a Ungheria e Polonia, anche Svezia, Finlandia e Estonia. Olanda e Bulgaria invece non hanno presentato alcun piano.
Intanto una delegazione di parlamentari europei è a Budapest per un sopralluogo sul rispetto dello stato di diritto in relazione all’erogazione dei fondi del Next Generation Eu. “Ci sono membri di tutti i sette gruppi politici del Parlamento europeo, siamo anche di diversi Paesi – dice l’eurodeputata dei Verdi/Ale, la francese Gwendoline Delbos-Corfield – Siamo qui per lavorare sui temi della democrazia e dello stato di diritto. Non c’era stata una tale missione dal 2011. Era ora di tornare”. Ma l’eco della possibilità che il piano ungherese sia approvato dalla Commissione Europea è arrivato anche all’Eurocamera e fa scalpore.
“Se la Commissione europea approverà i fondi per il Recovery di Budapest (indipendentemente dalle avvertenze) possiamo dire addio allo stato di diritto. Gli obiettivi non sono stati raggiunti da Orban in passato e non lo saranno in futuro. Perché Orban sa che Bruxelles invierà i soldi, qualunque cosa accada”, attacca l’eurodeputato tedesco del gruppo dei Verdi europei, Daniel Freund.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *