22 Novembre 2024

Fonte: Huffington Post

europa

di Lucia Annunziata

Se mi è consentita una metafora cruda, ma molto figlia di questi nostri tempi, l’Italia pare sia arrivata in acque pericolose. Una piccola barca (non diremo per rispetto un barcone) che al momento ha intrapreso un viaggio di cui non è chiaro il quando, il dove e il come dell’approdo.
Due avvenimenti contemporanei, apparentemente molto lontani fra loro, danno forma a questa impressione: nello stesso giorno vediamo un’Europa – quella stessa Europa che da settimane impiomba il governo Italiano – che lavora alacremente per trovare un accordo con la Gran Bretagna per “scongiurare” la minacciata Brexit; dall’altra parte abbiamo a Roma un summit dei 23 paesi della coalizione anti-Is che, pur senza dirlo, ci affida un ruolo di protagonisti nella prossima, rischiosa, tappa della lotta contro il terrorismo, in Libia. Le acque pericolose sono appunto quelle tra queste Scilla e Cariddi, tra le asprezze che ci riserva l’Europa, e la contemporanea richiesta di andarci ad infilare come partner principe in una nuova operazione militare.
Lo scontro fra l’Italia e Bruxelles è esploso di nuovo in queste ore. E, anticipo la mia opinione, questa volta ci sono pochi dubbi che dalla parte della ragione ci sia il premier Italiano.
Il presidente dei parlamentari del Ppe Manfred Weber ha attaccato il governo di Roma: “Basta margini di flessibilità. Sarebbe auspicabile da parte di tutti prendere coscienza dello stato dei fatti. Juncker ieri ha inviato una lettera a Renzi per ricordagli gli obblighi europei: spero che sia arrivata a destinazione”. Toni oltranzisti, non a caso di natura partitica più che istituzionali, cui si è però unita la voce iperistituzionale di Moscovici, commissario agli Affari Economici: “C’è una cosa che non capisco: il perché sui dossier di bilancio siamo in una controversia con il governo italiano, quando l’Italia è già il paese che beneficia di più flessibilità, rispetto al resto della Ue. Poi la discussione proseguirà, ma non si può senza sosta aprirne di nuove, di discussioni sulle flessibilità”. In mattinata Renzi dal Ghana aveva alzato i toni: “È finito il tempo in cui l’Europa ci dice cosa dobbiamo fare: noi diamo a Bruxelles venti miliardi e ne riceviamo undici. Vogliamo lavorare ma non prendiamo lezioncine”. Gli Italiani nel Parlamento Europeo hanno seguito il premier, evocando, per voce della Capogruppo del Pd Patrizia Toia, addirittura la delegittimazione della stessa Commissione: “Il capogruppo conservatore tedesco è il primo nemico della Commissione europea perché mette a rischio ogni giorno la tenuta con le sue dichiarazioni oltranziste, contrarie al patto di legislatura alla base della coalizione che ha dato la fiducia Juncker. Weber gioca allo sfascio e ora ha anche la pretesa di conoscere il parare della Commissione europea, su cui la stessa cancelliera Angela Merkel ha detto di non poter parlare, e perfino del commissario socialista francese Pierre Moscovici”.
Si avverte nei toni degli uni e degli altri una carica di vero astio, raramente sentito nelle relazioni europee. Di cosa tratta questa disputa lo abbiamo letto in tutte le lingue europee in questi mesi. Dei dossier aperti si conosce il nome e l’impatto economico e politico – fondi italiani per la Turchia, flessibilità della manovra italiana, bail in e risanamento delle banche. Ma alla fine lo scontro si può ridurre a una sola grande questione: il doppio standard che in Europa è ormai invalso per diversi paesi e con articolazioni diverse.
La denuncia di Roma di questi percorsi diversi e preferenziali ha non solo radicalizzato i nostri rapporti con l’Europa, ma sta scavando un fossato anche nella intellighenzia italiana, finora ampiamente a favore del renzismo. Quella bonomia con cui da Renzi finora si è accettato tutto – spregiudicatezza, familismo, eccesso di potere e poteri – si è bloccata davanti allo scontro con l’Europa. Fior fiore di editorialisti, osservatori, ed economisti sull’Europa non perdonano nessuna polemica, figuriamoci uno scontro. Il favorito premier è così oggi bombardato di una serie di moniti (“ma in Europa non si fa così”, ” litigando non si ottiene nulla”), eppure, se si guarda alle vicende di questi mesi, anzi se si guarda all’Europa dalla grande cavalcata dei migranti che questa estate ha distrutto i confini del nostro continente, si capisce che fra l’Unione immaginata e scritta nei trattati, e quella reale c’è ormai una distanza (quella fra Scilla e Cariddi, potremmo appunto dire) in cui nuotare è a rischio annegare.
Possiamo forse negare il grande tradimento della Merkel nel suo rapporto con la Russia? Proprio lei che ha spinto verso le sanzioni sull’Ucraina, proprio lei delle famose litigate in tedesco con Putin, proprio lei che ha chiesto a tutti i paesi dell’Europa un sacrificio economico (che l’Italia ha pagato anche non credendoci) contro Mosca a favore dei diritti delle nazioni, con una enorme giravolta si è poi accordata in solitario con lo stesso Putin sul Nord Stream. Possiamo forse negare che è stata di nuovo l’Europa tedesca a legittimare nei fatti i doppi e tripli livelli di diplomazia con i suoi bilaterali, trilaterali, più accordi separati con i paesi dell’Est, o nordici? Possiamo negare che il bisogno della Germania ha portato l’Europa a accettare la “flessibilità” quando sono serviti i 3 miliardi per trattenere in Turchia i migranti? E non è forse ancora la Germania della Merkel a legittimare, tacendo, la ormai introdotta flessibilità anche della sospensione di Schengen?
Matteo Renzi non ha del tutto ragione in questa partita europea. Anzi. Suo errore principale è quello di continuare a “svicolare” sulla situazione economica italiana, facendo per il secondo anno consecutivo una finanziaria fondata su tanti escamotage, lavorando dentro le pieghe del denaro pubblico piuttosto che presentando al paese un progetto coerente che prenda di petto la stentata crescita. L’asfissia dentro cui è confinata la sua gestione della ripresa merita certo tutte le accuse che gli si fanno di “vista corta”, “improvvisazione”, “gestione elettoralistica” del bilancio nazionale.
Ma nel presente stato del mondo, di ossigeno ce n’è poco in giro – fra guerra, calo del prezzo del petrolio, è tutta la crescita mondiale che batte la fiacca. È una situazione in cui tutti annaspano e in cui ogni stato arrotonda i margini e aggira molte regole.
Succede così che in queste ore, lavorando con alacrità, e per mano di Donald Tusk, Presidente del Consiglio europeo, il governo europeo è riuscito a stilare una prima offerta a Cameron per evitare la uscita della Gran Bretagna dalla Comunità. La proposta dovrebbe rassicurare il Regno Unito sui migranti, sulla protezione per la città di Londra, sulla sovranità nazionale e la competitività del paese. E dovrebbe svuotare il referendum di giugno. Gli euroscettici in Uk si sono già fatti sentire, negativamente. Giornali influenti come Ft hanno già parlato di un accordo “esile”. Ma l’intera operazione è marcata da un principio rilevante di questi tempi: il riconoscimento da parte dell’Ue dello “status speciale” della Gran Bretagna. Un’altra eccezione direi, che si somma alle molte eccezioni che abbiamo già citato più sopra. E che prova, in via di principio appunto, quanto radicate siano ormai le doppie velocità all’interno della nostra nazione sovranazionale.
L’Europa da cui oggi l’Italia viene fustigata è già un insieme di eccezioni, di riorganizzazione di interessi nazionali a pacchetto o a fisarmonica. Doppia e tripla velocità che rischiano ora di contaminare altre scelte: per esempio, i confini di Schengen. Vi sembra davvero impossibile in questo clima che la frontiera su cui si assesterà la fortezza Europa non escluda tutta l’Europa del Sud – Spagna ,Grecia, e, sì, Italia?
Fra le flessibilità che ci sono state negate pare, inoltre, che ci sia anche quella sui doveri: Roma, come si è visto, è ormai l’epicentro di grandi manovre di un nuovo intervento in Libia che si profila sempre più di natura militare e sempre più gravoso per rischi e costi. Non ci sottrarremo di sicuro. Ma è curioso che nemmeno tale impegno cambi i toni e i termini dello scontro europeo.
Questa Europa è a forte rischio di non avere più né la coerenza né l’autorevolezza per dettare imperativi economici e ancor meno etici a nessuno. Con tutte le nostre colpe, l’Italia dovrebbe davvero non puntare il dito contro questo stato di cose?

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