Il Gruppo negli Usa ha 16 stabilimenti ma produce le Ram e molti modelli Jeep in Messico, dall’Italia esporta tra le 20 e le 25mila unità
Da un lato c’è il piano delle conseguenze – scarse a detta di fonti interne all’azienda e anche dei sindacati – sulla produzione degli stabilimenti italiani. Dall’altro c’è la partita, tutta americana, che Stellantis dovrà giocare tenendo conto dei dazi imposti dal presidente Trump, degli impegni presi per aumentare la capacità produttiva sul mercato statunitense – 5 miliardi di investimenti annunciati, con l’assicurazione di riaprire lo stabilimento di assemblaggio di Belvidere nel 2027 – e della produzione fatta dal Gruppo negli stabilimenti in Messico – a Saltillo e Toluca, dove ad esempio produce rispettivamente la famiglia dei Ram, nel secondo, molti modelli della famiglia Jeep- oltre che in Canada, dove ha casa il marchio Chrysler.
L’azienda non commenta direttamente le decisioni dell’amministrazione americana ma parla attraverso l’associazione dei produttori di auto Us: «Le case automobilistiche statunitensi sono impegnate nella visione del presidente Trump di aumentare la produzione automobilistica e i posti di lavoro negli Stati Uniti e continueranno a lavorare con l’amministrazione su politiche durature che aiutino gli americani». Dunque da un lato si esprime la volontà di sostenere la visione della presidenza Trump e aumentare l’impegno industriale sul suolo americano, dall’altro lato però non si ignorano i rischi. Tanto che nella nota diffusa da Stellantis, GM e Ford, si specifica che «è fondamentale che i dazi siano attuati in modo da evitare l’aumento dei prezzi per i consumatori e da preservare la competitività del settore automobilistico nordamericano integrato, che è stato un successo chiave dell’accordo USMCA del Presidente».
Il riferimento è all’Accordo commerciale tra Stati Uniti, Messico e Canada entrato in vigore il 1° luglio 2020, in sostituzione dell’Accordo di libero scambio nordamericano Nafta. Segno che l’industria americana dell’auto comunque si aspetta, in qualche modo, che l’amministrazione americana tenga in considerazione la necessità di smussare gli effetti dei dazi in vigore soprattutto sulle auto importate da Messico e Canada, a tutti gli effetti una succursale produttiva degli Stati Uniti Cambiare questo equilibrio significherebbe incidere sulla competitività delle case americane.
La preoccupazione prevalente anche per Stellantis, che comunque ha un footprint industriale importante negli Stati Uniti con 16 stabilimenti, grazie anche all’eredità Jeep, è quella di gestire le produzioni esterne ai confini Usa e di limitare l’impatto potenziale sulla catena di forniture, un impatto ancora difficile da decifrare. Sul peso della componentistica all’interno delle auto dirette al mercato americano, in realtà, la partita è ancora aperta ma il tema preoccupa perché dover rivedere forniture e filiere in poco tempo è un rischio.
Per la produzione italiana di Stellantis gli Stati Uniti comunque cubano tra le 20 e le 25mila auto esportate l’anno scorso, su un totale di 350mila unità uscite dagli stabilimenti domestici del Gruppo. Tra queste ci sono le Dodge Hornet fatte a Pomigliano in parallelo con le Alfa Romeo Tonale – in totale circa 35mila quelle prodotte l’anno scorso con i due brand, il 55% in meno rispetto al 2023 -, qualche decina di Maserati – la produzione a Mirafiori si è ridotta a quota 2.200 unità – e, forse, qualche Fiat 500 elettrica, anche se per quest’ultimo modello il mercato americano si è rivelato una delusione.