Il gender pay gap, la differenza di stipendio tra uomo e donna, è ancora una realtà tangibile. In media si attesta sul 10% e può oscillare tra i 3mila e oltre 13mila euro. Secondo le rilevazioni di ODM Consulting, società di consulenza Hr di Gi Group (nella sua indagine periodica del primo semestre 2022), il gender pay gap si è ridotto fra il 2017 e il 2019 per poi riprendere a crescere durante la pandemia. Ecco alcuni esempi.
Per gli operai il divario più alto
Si può vedere innanzitutto che il divario percentuale più ampio tra retribuzione fissa (Rba) media di uomini e donne si riscontra nell’inquadramento Operai per cui c’è una differenza del 12,7%(28.520/24.551), mentre tra i Dirigenti c’è il divario con il valore assoluto maggiore (-10,8%) di 13 mila euro tra lo stipendio maschile di 121.603 euro e quello femminile di 108.510. Lo scarto minore si può vedere tra i quadri uomini che hanno uno stipendio medio di 62.778 euro paragonato con quello delle colleghe di 59.406(-5,4%) inferiore di 3372 euro. Un po’ più elevato in termini percentuali è il gap tra impiegato e impiegata, vale a dire del 9,4%: tra 34.514 euro e 31.286, ma inferiore per quanto riguarda il valore assoluto, ovvero di 3.228.
Spesso la donna è sovra-istruita rispetto al suo impiego
«Questi dati diventano ancor più significativi se letti congiuntamente ad altri relativi alla presenza delle donne nel mercato del lavoro – commenta Miriam Quarti, Senior consultant e responsabile dell’area Reward&Engagement di Odm Consulting –. Più di una lavoratrice su quattro risulta sovra-istruita rispetto al proprio impiego e, sebbene si laureino con voti maggiori e in percentuale più elevata rispetto agli uomini, le donne sono meno presenti in ruoli apicali o direttivi, confermando l’esistenza del soffitto di cristallo. Guardando proprio a questi ruoli, però, quando le donne arrivano a ricoprire tali posizioni, non si osservano differenze tra i loro pacchetti retributivi e quelli dei colleghi uomini» La differenza di retribuzione non è l’unico aspetto che evidenzia una disuguaglianza o ingiustizia nei confronti del genere femminile nel mercato del lavoro. Infatti l’Istat conferma anche per il 2022 il più basso tasso di occupazione delle donne (51,4% donne vs 69,6% uomini) e un tasso di inattività femminile al 44%, aspetti su cui incide fortemente la presenza di figli. Tra le donne che invece partecipano al mondo del lavoro è alta l’incidenza del part time (33,3% donne vs 8,6% uomini) e la velocità di inserimento risulta inferiore rispetto a quella degli uomini.
La tematica di genere è diventata un’urgenza per la maggioranza delle aziende
Secondo un’altra indagine Odm Consulting condotta su campione di piccole, medie e grandi aziende rappresentativo rispetto al mercato del lavoro italiano, si sente ormai la necessità di dotarsi di politiche di diversity inclusion & equity: oltre il 60% delle aziende (soprattutto tra le grandi) le ha già strutturate o sta prendendo in considerazione di farlo. La tematica di genere è tra le prime tre tipologie di diversità su cui si sta maggiormente intervenendo a livello aziendale, insieme a età e disabilità. «La nostra survey rileva come l’esigenza di occuparsi delle diversità e della loro gestione e inclusione in azienda arrivi soprattutto dalla volontà di promuovere un’immagine aziendale positiva nei confronti dei dipendenti, dei clienti, del territorio e di potenziali candidati – conclude Quarti – Tra gli altri motivi principali le organizzazioni indicano il rispetto delle normative e obblighi di legge, quelli economici come l’aumento della produttività e l’attuazione del proprio impegno verso la sostenibilità. Il Lavoro Sostenibile , per essere tale, deve essere anche inclusivo».