La decisione del tribunale di Roma alla luce della sentenza della Corte di giustizia europea. Salvini: «Altra sentenza contro gli italiani»
Di fronte all’«incertezza amministrativa» scaturita da norme in contrasto — di qua le sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea, di là il decreto governativo sui paesi sicuri — i giudici della sezione immigrazione scelgono di rinviare il quesito alla Corte europea e sospendono la convalida del fermo dei sette migranti (cinque dal Bangladesh, due dall’Egitto) trattenuti in Albania. Il risultato è duplice.
Da un lato i sette cittadini extracomunitari tornano in Italia, in barba alle intenzioni di rimpatrio annunciate nel protocollo Roma-Tirana: una nave della Guardia costiera li riporterà in un centro per richiedenti asilo in Puglia. Dall’altro prosegue lo scontro tra la maggioranza e i magistrati esperti di immigrazione.
Si svuota dunque per la seconda volta il centro di rimpatrio albanese — 800 posti nell’aspra campagna di Gjader — e in simultanea s’inasprisce il clima politico tra governo e opposizione.
Per i giudici di Roma occorre tutelare i diritti internazionalmente riconosciuti anche in una situazione di particolare stress causato dalle dimensioni imponenti del fenomeno migratorio: «Il Tribunale — si legge nel provvedimento relativo al caso di uno dei bengalesi — ritiene che il diritto a un ricorso effettivo, riconosciuto al richiedente asilo dall’art. 46 della Direttiva 2013/32, sia espressione del più generale diritto alla tutela giurisdizionale effettiva garantito dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea».
Le garanzie primarie dei diritti individuali impongono di acquisire informazioni e vagliare caso per caso: «L’applicazione di una procedura accelerata — scrivono le toghe — appare incompatibile con l’esistenza di situazioni di persecuzione, discriminazione e maltrattamento come quelle relative a categorie di persone: tali situazioni, infatti, emergono normalmente soltanto all’esito di un’approfondita istruttoria sulla situazione di ogni singolo richiedente protezione». Si chiude dunque con un secondo no (il primo era avvenuto lo scorso 16 ottobre al debutto dell’accordo con l’Albania) al rimpatrio dei cittadini extracomunitari.
Contro il pronunciamento dei giudici interviene la maggioranza, che ha investito nel modello Albania e censura l’operato della magistratura: «Nessuno mi toglie l’idea che queste sentenze servano alle coop rosse per far soldi sulla pelle dei migranti», accusa dalla Lega il vicepremier Matteo Salvini: «È un’altra sentenza politica contro gli italiani. Governo e Parlamento hanno il diritto di reagire per proteggere i cittadini e lo faranno». Gli fa eco il collega di Forza Italia Antonio Tajani: «Inaccettabile, ci sono magistrati che stanno cercando di imporre la linea al governo». Il Viminale fa sapere che si costituirà di fronte alla Corte di giustizia europea per sostenere le proprie ragioni.
L’accusa di «eversione» da parte delle toghe formulata da più parti (dal forzista Maurizio Gasparri al senatore leghista Claudio Borghi) è rispedita al mittente dall’opposizione che nei giorni scorsi aveva, tra le altre cose, organizzato una staffetta in Albania per denunciare i costi esorbitanti del progetto (la procura regionale della Corte dei Conti è in effetti al lavoro su questo) e le dimensioni «velleitarie», a loro detta, del protocollo italo albanese. Il Movimento 5 Stelle, che nei giorni scorsi con il deputato Alfonso Colucci aveva calcolato in un milione e trecentomila euro solo i costi dei primi tre mesi di operatività della Libra, ribatte al governo: «Meloni metta fine alla sua costosissima farsa», chiede la senatrice Alessandra Maiorino. Dal Pd, intanto, Alessandro Alfieri: «Siamo di fronte a uno spot elettorale da 800 milioni per le tasche degli italiani. Il governo venga in Aula ad ammettere la sconfitta» Da Avs dice Angelo Bonelli: «Il governo vuole lo scontro con la magistratura».
In serata il presidente della Anm Giuseppe Santalucia precisa che la norma del governo «è incompatibile con l’Unione europea» e «i giudici fanno il loro dovere».