22 Novembre 2024

Fonte: La Repubblica

di Liana Milella

Udienze dal “vivo” dal primo luglio, ma il Guardasigilli Bonafede vuole bloccare o almeno ridurre le vacanze estive. Caso Zagaria (che comunque resta ai domiciliari): per superare la Consulta, il giudice che rivaluta le sentenze subito in udienza

Il dopo Covid, per la giustizia, è destinato a passare anche per lo stop parziale o integrale alle ferie per magistrati e avvocati. Quei tradizionali 30 giorni (erano 45 prima del taglio dell’ex premier Renzi) che ad agosto fanno abbassare le saracinesche delle aule rinviando tutto a settembre. A questo stanno lavorando il Guardasigilli Alfonso Bonafede e il sottosegretario Andrea Giorgis, dopo la maratona che, per due giorni, ha tenuto il governo, relatore il Dem Franco Mirabelli, incollato al banco della commissione Giustizia del Senato. Lì sono arrivate le dure proteste degli avvocati che – ormai ridotti, a loro dire, all’indigenza economica e schiacciati dalle proteste dei clienti –  hanno chiesto di far ripartire subito i processi. L’hanno spuntata, perché una mossa del governo, dopo emendamenti del centrodestra, ha anticipato dal 30 luglio al primo luglio la “ripartenza” di tutte le udienze, civili e penali. Ma questo potrebbe non bastare, ed ecco allora il blocco delle ferie.
Ma c’è anche dell’altro nel decreto legge che dopo 48 ore di forcing disperato è stato chiuso al Senato e andrà subito in aula perché poi deve essere convertito prima della fine del mese con il passaggio alla Camera. Una sorta di decreto omnibus sulla giustizia, perché dentro c’è il via libera alla legge Orlando sulle intercettazioni dal primo settembre, ci sono i colloqui telefonici per i detenuti, ma c’è anche una soluzione per superare i ricorsi dei giudici (finora Spoleto e Sassari) alla Consulta contro l’obbligo di rivalutare ogni mese i via libera ai domiciliari (vedi caso Zagaria).

Subito i processi in voce, ma salvando quelli “da remoto”
Troppe proteste degli avvocati, ormai incontenibili in tutta Italia. Tant’è che se ne fa portavoce anche il Pd con un’interrogazione a Bonafede della vice presidente della Camera Anna Rossomando (avvocato penalista di Torino) con Valeria Valente (anche lei avvocato dem amministrativista di Napoli). “Bisogna ripartire subito” dicono entrambe. E il Guardasigilli annuncia in aula rispondendo che è già deciso, si riaprono i battenti il primo luglio anziché alla fine del mese. Ma proprio nelle stesse ore, appena la notizia si diffonde, ecco le preoccupazioni di chi ha già organizzato il lavoro in periferia. Da Brescia, dov’è presidente della Corte di appello, Claudio Castelli non nasconde l’allarme: “Attenzione però, non buttiamo a mare la programmazione già fatta, perché sortiremmo il risultato di perdere e dover rinviare anche tutte le udienze in calendario”.
Un input che, evidentemente, arriva sul tavolo della commissione Giustizia di palazzo Madama febbrilmente al lavorato per chiudere un mega decreto in cui convergono le misure anti scarcerazioni, ma anche il definitivo via libera alle intercettazioni. Nasce da qui il compromesso, si riparte effettivamente il primo luglio, ma – come spiega Giorgis – “in modo da evitare l’effetto paradosso per cui l’anticipazione evita di obbligare i giudici a ripetere alcuni atti già compiuti, a riprogrammare le udienze già fissate, per cui fino alla conversione del decreto, fino alla fine di giugno, sarò possibile continuare a utilizzare tutte le disposizioni telematiche e da remoto”. Com’è scritto nel testo “restano validi gli atti e i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici” realizzati fino a quel momento.

Via libera alla legge sulle intercettazioni
Stavolta non si torna più indietro. La legge Orlando sulle intercettazioni, che classifica come “irrilevanti” quelle che non contengono effettivamente prove per dimostrare la colpevolezza o l’innocenza di un imputato, entrerà definitivamente in vigore il primo settembre. Dopo oltre due anni di congelamento si inaugurano gli armadi riservati gestiti dal capo della Procura dove finiranno tutti gli ascolti “irrilevanti” ai fini della prova che non saranno neppure trascritti integralmente, ma di cui esisterà solo un brogliaccio.

Più telefonate per i detenuti 
Con un emendamento del capogruppo dem Mirabelli, aumenteranno fino a una al giorno le telefonate che un detenuto potrà fare alla sua famiglia qualora “si svolga con figli minori o figli maggiorenni portatori di una disabilità grave e nei casi in cui si svolga con il coniuge, l’altra parte dell’unione civile, persona stabilmente convivente o legata all’internato da relazione stabilmente affettiva, con il padre, la madre, il fratello o la sorella del condannato qualora gli stessi siano ricoverati presso strutture ospedaliere”. Nessun aumento invece se il detenuto si trova al 41bis. Potrà chiamare una volta a settimana se è in regime di 41bis, cioè tutti i boss in una condizione di sorveglianza per impedire contatti e rapporti con l’organizzazione criminale cui appartenevano.

Telefonini nelle celle? Punizione severa
Una pena da uno a 4 anni per chiunque introduca in una cella, o metta a disposizione di un detenuto un telefono cellulare. La pena passa da due a 5 anni se il reato “è commesso da un pubblico ufficiale, da un incaricato di pubblico servizio ovvero da un soggetto che esercita la professione forense”.

Il caso Zagaria e la Consulta
Ma c’è un altra questione di grande attualità nel decreto sulla giustizia, quella del rimedio escogitato da Bonafede per far fronte alle scarcerazioni frutto della circolare Dap del 21 marzo. Secondo lo stesso Dap sarebbero 220 i mafiosi messi fuori dalle prigioni e mandati ai domiciliari. La soluzione ministeriale era quella di obbligare giudici e tribunali di sorveglianza a rivalutare la decisione dopo 15 giorni e poi mensilmente in relazione alla mutata situazione ambientale e alle disponibilità di strutture da parte del dap. Ma due magistrati, il 29 maggio il giudice di sorveglianza di Spoleto Fabio Gianfilippi, e il 9 giugno il presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari Riccardo De Vito per il boss Pasquale Zagaria, si sono rivolti alla Consulta contestando la norma di Bonafede perché limiterebbe la libertà del giudice nel valutare la situazione del detenuto.
Adesso arriva una modifica della norma, nel senso che il giudice di sorveglianza, appena ha compiuta la sua rivalutazione del caso, quindi rispettando le scadenze temporali date dallo stesso decreto (15 giorni e un mese), deve inviare subito gli atti per fissare un’udienza davanti al tribunale di sorveglianza coinvolgendo le parti. Il tribunale avrà trenta giorni di tempo, in contraddittorio con la difesa, per decidere. Un caso però che potrebbe risolvere quello di Spoleto, ma non quello di Sassari dove a pronunciarsi è già stato un tribunale di sorveglianza.

La circolare del 21 marzo? Un atto “pericoloso”
Ma proprio sulle scarcerazioni di 220 mafiosi va avanti l’indagine della commissione parlamentare Antimafia presieduta da Nicola Morra. Ieri si è svolta l’audizione di Caterina Malagoli, capo dell’ufficio V del Dap e responsabile dei detenuti al 41bis e in alta sicurezza. Parole molto pesanti le sue, sulla circolare del 21 marzo diretta ai provveditori e ai direttori con l’indicazione di segnalare “con solerzia” ai magistrati i detenuti con patologie e over 70. Una circolare definita “pericolosa” da un magistrato che racconta di essere stata pm a Palermo nella Direzione distrettuale antimafia, e ammette che “mi ha dato fastidio vedere in detenzione domiciliare uno condannato da me”.
Quella di Malagoli è una testimonianza shock. Lei non viene avvisata della circolare firmata di sabato dalla funzionaria di turno Assunta Borzacchiello su specifica richiesta dell’ex capo dei detenuti del Dap Giulio Romano, nonostante siano destinati a uscire internati delle sue sezioni. Ne apprende casualmente l’esistenza martedì 24. Va da Romano e chiede di “revocarla” perché, aggiunge “avremo dei problemi”. Malagoli non nasconde la collera per non essere stata avvisata. Romano le dice che “la circolare era condivisa”. “Io non so con chi – chiosa  Malagoli – ho capito con il capo del Dap (l’ex direttore dimissionato Francesco Basentini, ndr.), ma non so con chi altro”. Romano comunque le disse  che “sulla circolare ci avevano pensato su, il venerdì c’era stato il via libera, c’era stata la condivisione, loro ci hanno pensata per una settimana”. Spiega che, nonostante le dimissioni, Romano è ancora al suo posto, fino alla fine di giugno.

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