Fonte: Business Insider
di Fabrizio Ghisellini
Vi ricordate dell’“incubo spread” di qualche anno fa?
Lo spread in questione, cioè la differenza di rendimento fra i titoli di stato italiani (Btp) a 10 anni e quelli tedeschi (Bund) di pari durata, è da sempre considerato un indicatore del “rischio Italia”. Più la rischiosità dell’investimento Italia cresce, più cresce lo spread, e più ovviamente cresce la spesa per interessi sul nostro enorme debito pubblico che rende il rischio Italia ancora maggiore. Sullo spread – che era arrivato a 600 punti base, ovvero al 6% – c’è addirittura caduto il Governo Berlusconi nel 2011. E nel 2012 la situazione non migliorò molto, neanche a livello sistemico, e anzi le tensioni divennero fortissime, tanto che i mercati iniziarono seriamente a dubitare della capacità di tenuta del sistema.
Poi arrivò SuperMario (Draghi). Il 26 luglio 2012, in un discorso a Londra, il Presidente della Bce pronunciò le parole fatidiche: “Nell’ambito del suo mandato, la Banca Centrale Europea è pronta a fare tutto quello che è necessario (“whatever it takes”) per proteggere l’euro. E credetemi, sarà abbastanza.” Dopo una settimana la Bce annunciò un’iniziativa di acquisto dei titoli dei paesi più in difficoltà (“Outright Monetary Transactions”) che alla fine non venne attuato, mentre dal 2015 in poi venne attuato un massiccio (60 miliardi al mese) programma simile sui titoli di tutti gli Stati. Era il cosidetto Quantitative Easing (Qe), durato nella sua configurazione originaria per circa due anni. Con le sue dichiarazioni, ancora prima che con le sue azioni, SuperMario fece il miracolo. E infatti dal 2012 ad oggi gli spread dei paesi “periferici” (fra i quali viene di solito inclusa l’Italia) sono crollati.
Qualche segnale di nervosismo si è manifestato nel 2017, man mano che la fine del Quantitative Easing (“tapering”) si avvicinava e crescevano le incognite sulla sostenibilità del debito di paesi come l’Italia. E infatti lo spread Bpt-Bund dopo l’estate è tornato ad allargarsi fino ad arrivare a circa 170 punti base. Ma alla fine di ottobre ancora una volta è arrivato SuperMario ad annunciare che il sostegno della BCE ai debiti pubblici continuerà ancora per un bel pezzo, anche se con volumi inferiori. E per lo spread è tornata la quiete. C’è stata un’impennata il 29 Dicembre, quando Mattarella ha sciolto le camere, ma poi siamo tornati a livelli bassissimi (circa 140 punti base):
Ma quello che è più incredibile è che lo spread rimanga “dormiente” anche in un contesto, come quello elettorale attuale, nel quale ogni giorno i partiti tirano fuori sempre nuove promesse di abolizione di tasse, di aumento delle pensioni ecc. per costo cumulato – calcolato fra gli altri dal Sole 24 ore – di circa 270 miliardi di euro. Si potrà obiettare che il costo cumulato non ha senso, in quanto al massimo due dei tre schieramenti in campo possono andare al Governo formando una coalizione.
Vediamo allora prima i costi annui divisi per partiti proponenti.
- Guida Forza Italia (aumento pensioni, flat tax al 20%, reddito di dignità, cancellazione Irap ecc.) con circa 80 miliardi.
- Segue la Lega (abolizione legge Fornero, flat tax al 15%, ecc.) con circa 60 miliardi.
- Pd e M5S si accontentano di proposte per una quindicina di miliardi a testa.
Se quindi andasse al governo la coalizione di centro destra (la più “costosa”) e tutte le promesse dei partiti componenti la coalizione venissero attuate (ipotizziamo con la flat tax al 20%) il deficit dello stato, pari a 36 miliardi nel 2017, aumenterebbe di circa 100 miliardi, circa il 6% del Pil.
In altri momenti, eventualità di questo tipo avrebbero fatto schizzare verso l’alto lo spread di centinaia di punti di base. E invece non succede nulla. Perché?
Solo per l’ombrello (per quanto capiente) di Draghi?
Molto probabilmente la spiegazione ha anche un’altra componente, che ha a che fare con la saggezza dei mercati. Ora che nessun politico italiano vuole più uscire dall’euro (era quello il pericolo vero) i mercati sanno che ( in Italia in particolare) solo una modesta percentuale delle promesse elettorali viene attuata anche quando c’è un governo forte. Figuriamoci con la nuova legge elettorale. Il gioco di “spararla più grossa” in cui sono impegnati i partiti di cui sopra nasce proprio dalla consapevolezza che nessuna coalizione otterrà la maggioranza e che quindi, in uno scenario di “coabitazione forzata”, sarà ancora più facile recitare il mantra del “avrei voluto, ma non me lo hanno fatto fare”. E c’è da dire che poi la saggezza dei mercati molto spesso non è diversa da quella degli elettori.